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CHIVASSO. Un appello a tutti gli uomini liberi e forti

Fu Pietro Nenni a preconizzare, decenni fa, il pericolo di un governo senza popolo. Naturalmente il politico socialista non avrebbe mai potuto immaginare la crisi identitaria profonda che avrebbe reso l’Italia un paese nel quale  si sarebbe smarrito  il principio di rappresentanza . 

In effetti quella che un altro politico-intellettuale di vaglia, Giovanni Spadolini, chiamò il distacco tra Paese reale e Paese legale ha radici in quella lunga stagione in cui la politica si avvitò attorno ad affarismo, corruzione  decadimento etico. Stagione, mai del tutto indagata a fondo, che sfociò in “mani pulite” sorta di lavacro pubblico, vagamente giacobino, che avrebbe dovuto restituire all’Italia dignità e “moralità”. Da qui la cosiddetta seconda repubblica, singolare definizione per una (ipotetica) rivoluzione politica che andava ad innestarsi su un immutato sistema istituzionale. Questa costruzione artificiosa non ha retto alla prova dei fatti anche e soprattutto perché le figure politiche che avrebbero dovuto governare un tale cambiamento epocale hanno, di fatto, fallito ( pur con tutte le distinzioni e parziali giustificazioni che è doveroso riconoscere)in questo arduo compito.

I conti con la storia ci portano a riflettere su un principio ineludibile: in un ordinamento “occidentale” partiti e movimenti politici affondano la propria legittimazione nelle radici profonde, sociali e ideali, del paese di riferimento. C’è al fondo di ogni nazione degna di essere tale, pur nel travaglio talora drammatico o financo violento delle vicende storiche, una sottile ma continuativa linea guida che rende un popolo comunità .

La contingenza storica può, tuttavia, lacerare nel profondo i vincoli condivisi. Uno degli effetti più drammatici è quello dell’affievolirsi del principio di rappresentanza.

Se volgiamo lo sguardo al corso della politica italiana degli ultimi anni non possiamo che registrare un panorama di desolante perdita di credibilità non solo delle forze politiche ma, ed è ancora più grave, della carica ideale dei “pensieri politici”.

Da un lato il progressivo sfaldarsi del, storicamente maggioritario, “corpus” moderato dovuto, sostanzialmente, al fallimento del grande progetto berlusconiano della  rivoluzione liberale. Sogno svanito per la oggettiva mancanza di una cultura politica che andasse oltre la figura del leader carismatico.

Dall’altro lato l’incapacità della sinistra di sostituire alla vetusta idea della lotta di classe un progetto politico coerentemente allineato con le socialdemocrazie europee. Rincorrere le nuove mode ( ambientalismo, integrazione pur che sia dei flussi migratori, etica “creativa” ) nasconde, al fondo, una sconfortante assenza di “visione” politica.

L’affermarsi, poi, di movimenti alternativi (5 stelle) che sembrano impegnati più che altro a cavalcare malcontento e frustrazione piuttosto che a indicare obbiettivi seri di rinascita nazionale ( del resto, come argomentavamo, la cultura politica è cosa seria e non moda pret- a- porter) rende il tessuto sociale del paese ancor più lacerato.

Al fondo si staglia la sfida fondamentale: chi riuscirà, senza percorrere pericolose strade populiste o reazionarie, a ricreare un’anima condivisa in questo paese? Chi interpreterà i sentimenti veri, profondi che fanno dell’Italia una nazione? Chi ci restituirà l’orgoglio di essere un'unica comunità?

Torna alla mente quello che un grande italiano, Don Luigi Sturzo , scrisse nel 1919 : “ il dovere di cooperare ai fini superiori della patria, senza pregiudizi, né preconcetti”. Era l’appello “a tutti gli uomini liberi e forti”. Una chiamata alle coscienze prima che un progetto politico.

Tommaso Tamponi, 

Chivasso

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