“Tu me ne ammazzi uno a me e io te ne ammazzo uno a te....”. E’ tutto codificato in queste poche parole il codice non scritto che regola i rapporti tra le famiglie della ‘ndrangheta. Un’organizzazione tanto potente quanto sanguinaria, che più e più volte ha macchiato di sangue le strade di quest’Italia e pure del Piemonte.
Il ritrovamento a Borgaro dell’Alfa 166 di Rocco Ursini
La chiamano lupara bianca ma non sempre gli inquirenti sono riusciti a risalire alle motivazioni che stanno alla base delle faide consumatesi tra le tante famiglie. Nell’elenco degli omicidi irrisolti ce n’è uno che per molto tempo ha tenuto banco sul nostro giornale. E’ quello di Rocco Vincenzo Ursini (o Ursino) nipote del potente boss Mario Ursini, ‘u tiradritto. Scomparso a 28 anni, l’8 aprile del 2009. Il suo nome lo avrebbe di recente fatto, in un colloquio con il Procuratore Aggiunto della dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il collaboratore di giustizia Antonio Femia, 35 anni. “Purtroppo a me è dispiaciuto molto, perché era un mio coetaneo, andavamo a scuola insieme. Mario Ursini sa tutto. Perché aveva chiesto appoggio a noi. Siccome i miei cugini sono di base a Torino, ci ha chiesto di poter prendere la persona che ha commesso l’omicidio del nipote. Lo hanno ammazzato per una storia di droga e armi”. E Antonio Femia sarebbe addirittura andato più in là, fornendo il nome del killer, poi trasformatosi in fuggitivo e solo per un caso fortuito non ancora diventato cadavere.
La sorella di Rocco Ursini davanti alle telecamere di "Chi l'ha visto" su Rai Tre
Una “caccia” cominciata la scorsa estate, non ancora terminata. “Lo cercavano per ammazzarlo, ma non l’ho mai più sentito nominare”, ha sottolineato Femia fornendo un elenco di nominativi.
Rocco Vincenzo
Ursini: ucciso
dalla famiglia Macrì
Nel settembre del 2011, con l’operazione Minotauro della Procura di Torino, s’apre il coperchio sulla ‘ndrangheta in provincia di Torino. In totale sono 182 gli indagati che poi diventeranno per la maggior parte imputati. Solo di striscio però l’indagine tocca la locale di Moncalieri, poco meno di una decina di persone, e tra queste alcuni cognomi portano a Chivasso e a Torrazza Piemonte: Schirripa e Ursino (con la variante Ursini). E sono cognomi storici della ‘ndrangheta sotto la Mole, sono le famiglie che prendono possesso del territorio negli anni ‘80, con la Mafia siciliana messa alle strette dalle rivelazioni del pentito Salvatore Parisi: Ursini a Settimo, Mappano e Caselle, i Belfiore con Schirripa a Moncalieri, gli Iaria in Canavese, i Franzè e i Pronestì a Orbassano, i Marando e gli Agresta a Volpiano e i quattro fratelli Ilacqua con la protezione di Rocco Gioffrè a Chivasso. I Belfiore e gli “Ursini” o “Ursino”: due famiglie non a caso, considerando che sarebbero state loro, nel 1983 a ordinare ed eseguire l’omicidio del Procuratore della Repubblica Bruno Caccia.
Rocco Ursini
Mario Ursini
Tra gli indiziati “numero uno” proprio Mario Ursini (condannato a 26 anni di carcere e liberato dopo 10), e Domenico Belfiore (oggi all’ergastolo), entrambi di Gioiosa Jonica. La consapevolezza che la ‘ndrangheta avesse messo radici nel chivassese però, si avrà solo nel 2002 con la notizia, presa sotto gamba dalla politica, ma pubblicata da questo giornale con grande evidenza, di una lunga serie di immobili confiscati a Torrazza, Volpiano, San Sebastiano e Chivasso. Poi il silenzio. Nell’aprile del 2009, ancora un fatto di cronaca. La scomparsa di Vincenzo Rocco Ursini, residente nel quartiere Blatta a Chivasso e nipote prediletto del boss Mario Ursini. La sua auto, un’Alfa 166, viene ritrovata in divieto di sosta a Mappano. La sorella lo cerca disperata anche su RAI3 a “Chi l’ha visto?”. Nella ricostruzione dei carabinieri, quel giorno Rocco Vincenzo Ursini avrebbe dovuto accompagnare al lavoro la fidanzata, figlia di Rocco Schirripa, torrazzese, arrestato di recente. Si saprà solo nel 2010, da una lettura delle carte dell’inchiesta “Crimine” del procuratore Ilda Boccassini di Milano che lo avevano “fatto fuori” dei sicari della famiglia Macrì, in cerca di una posizione in Calabria e nel nord Italia. Una guerra di ‘ndrangheta, insomma…. Nella stessa inchiesta l’intercettazione di una conversazione avvenuta il 14 agosto del 2009 in un bar di Chivasso, crocevia di incontri tra malavitosi, “Il Timone” di Giovanni Vadalà (oggi in galera). A parlare era Giuseppe Commisso, il “mastro” della ‘ndrangheta: “Questo Mico Oppedisano, mi raccontava …(inc.)… Rocco Ursino, io non sapevo neanche di chi mi parlava… quel povero disgr… quello che è morto…”. Secondo il racconto di Commisso, il giovane avrebbe avuto un debito di 20 mila euro, che sarebbe stato saldato col sangue. Una storia che non si sarebbe svolta nella selvaggia provincia di Reggio Calabria, ma nella civile Torino, dove Oppedisano, sempre secondo il racconto di Commisso avrebbe “mandato a Rocco questo qua, che gli doveva dare ventimila euro… a dargli 10… poi hanno litigato, hanno girato voltato […] e all’ultimo lo hanno ucciso”. Rocco Schirripa, l’ultimo arresto di Ilda Bocassini Rocco Vincenzo Ursini è morto pochi mesi prima di sposare la figlia di Rocco Schirripa, residente a Torrazza Piemonte e conosciuto dalle autorità giudiziarie fin dagli anni ’70, denunciato più volte per diversi reati, tra cui il gioco d’azzardo, un tentato omicidio, un furto e una rissa. Nel 2011 Rocco Schirripa viene arrestato nell’ambito dell’operazione Minotauro, in quanto ritenuto affiliato al locale di Moncalieri. Patteggia 20 mesi e esce. E’ tornato in galera pochi mesi fa su ordine della Procura di Milano. Potrebbe infatti essere uno degli uomini che il 26 giugno del 1983 ammazzò a colpi di pistola l’allora procuratore capo di Torino Bruno Caccia, l’unico magistrato eliminato dalle cosche nel Nord Italia.
Rocco Schirripa
Per quell’agguato c’è già una condanna. Domenico Belfiore, considerato il mandante, sta infatti scontando l’ergastolo dal 1989, anche se lo scorso 11 giugno gli è stata concessa la detenzione domiciliare, a Settimo Torinese, per una grave malattia. Anche lui originario di Gioiosa Ionica (Reggio Calabria), chiamato dagli amici Rocco ‘Barca’, già nel 1996 un pentito aveva ipotizzato il suo coinvolgimento precisando però che si trattava di una propria “deduzione”. Vatti a fidare dei pentiti...