Da cinque anni attendono che la sentenza del tribunale sia rispettata. La Dayco, secondo quanto aveva stabilito il giudice Ludovico Morello di Ivrea, avrebbe dovuto assumerli, e a tempo indeterminato. Una vittoria ottenuta dopo mesi di proteste, presidi davanti ai cancelli, articoli sui giornali… Daniel Pope e Cosmin Muntean avevano battuto i pugni, si erano rivolti alla giustizia, decisi a veder riconosciuto quella che era, ed è, un loro diritto. Invece, ad oggi, la battaglia non è ancora conclusa. “Dal 2014 - spiega Pope, 35enne di origine romena e residente a Candia - l’azienda ci ha assunto. A tempo indeterminato, è vero. Ma con un’astuzia: ha stracciato il nostro vecchio contratto e l’ha sostituito con uno nuovo”. Un modo, insomma, per non pagare quel lungo periodo, durato oltre un anno, durante il quale ha lasciato i due operai a casa, con la minaccia di un licenziamento, poi sventato. “Così non occorre pagare quelle mensilità né i contributi” evidenzia Daniel Pope. Il destino, tra l’altro, non è stato clemente con lui. Dal 2013 la moglie è in carrozzina, a seguito di un incidente stradale. L’uomo deve mantenere due figli. Deve badare alla famiglia. Vorrebbe almeno la serenità di sapere d’avere un posto di lavoro sicuro, senza temere per il proprio futuro. “Andremo in televisione, se necessario, per raccontare la nostra storia” aggiunge ancora, anche a nome del connazionale Muntean, 45 anni e anche lui residente a Candia, sposato e con una bimba. ”Mai un giorno di ferie o di mutua. Siamo sempre stati disponibili a lavorare anche il sabato e la domenica. E l'azienda aveva pensato di ricambiare dandoci il benservito - ricordano i due -. Ci ha lasciato a casa, con dei figli da mantenere. Abbiamo dovuto contare sui nostri risparmi e sull'esiguo stipendio delle nostre mogli per andare avanti". Daniel Pope lavora dal 2007 ha lavorato presso lo stabilimento della Dayco di San Bernardo di Ivrea, sempre come magazziniere, con contratto di solidarietà. Poi è iniziato il travaglio. Nel 2008 l'azienda aveva annunciato il licenziamento, per loro come per altri operai. "Allora – ricordano – l'azienda ha preso altre otto persone con contratto a tempo determinato. Successivamente ci ha richiamato per lasciarci poi nuovamente a casa, nel 2011, insieme ad altri 17 operai, ed assumermene infine quattro, i più fortunati. Non poteva farlo: dopo quattro anni l'assunzione a tempo indeterminato ci spetta di diritto”. Loro non ci stanno più. Sono stanchi di sentirsi presi in giro da un'azienda che pensa unicamente ai propri utili, incurante dei lavoratori. Per questo avevano allora rifiutato la proposta di liquidazione di 13mila euro ed aperto la vertenza sindacale. Gli unici, tra i diciannove rimasti a casa. Mentre avevano intentato la causa l'azienda aveva alzato la posta proponendo due soluzioni: 18mila euro per chiudere la vertenza oppure un contratto in un nuovo reparto in Polonia. "Non vogliamo contentini – dicono –. Volevamo l’assunzione. Ed oggi chiediamo quelle mensilità che non ci sono state date. Andremo avanti per veder riconosciuti i nostri diritti”.
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