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CALUSO. Estorsione al kebabbaro, in due a processo. "Soldi per stare tranquillo"

  “Il mio locale dava fastidio a Caluso. Forse perché girava bene. Ho pagato. L’ho fatto. Per poter stare tranquillo”. Claudio Enrico Maza, fino a pochi anni fa, gestiva un’attività di pizzeria/kebab in piazza Mazzini. Con queste parole, venerdì scorso, presso il tribunale di Ivrea, ha raccontato l’incubo in cui si ritrovò, tra il 2012 e il 2013, schiacciato dagli strozzini, fino a non aver più soldi per pagare i dipendenti, costretto infine a chiudere. Non è stato semplice, per il Pubblico Ministero Michela Bedognè, cavargli le parole di bocca, tanto da spazientire il giudice Ludovico Morello. A processo, per estorsione, si trovano due persone: Vincenzo Carlo, 40 anni, difeso dagli avvocati Lorenzo Bianco e Federica Ranieri, già finito nei guai, in passato, con l’accusa di aver estorto denaro al parroco di Moncrivello, e Fabrizio Uzzo, 32 anni, difeso dall’avvocato Angioletta Bertoldo. Il “film” comincia in prossimità della festa dell’Uva di Caluso del 2012. “Nel settembre - il racconto di Maza, costituito parte civile con l’avvocato Renato Broda del foro di Asti - qualcuno mi aveva dato fuoco alle vetture a casa, a Montalenghe. All’edizione successiva della festa, nel 2013, mi è stata fornita la sorveglianza davanti al locale”. Da quel momento sarebbero cominciate le richieste da parte di Carlo:dammi 50, 80, 100 euro per stare tranquillo”. “Siccome avevo avuto un crollo della mia principale attività di idraulico - ha raccontato la persona offesa -, pur di poter lavorare facevo anche questo. Non potevo lasciare i dipendenti a casa. Ma sapevo che Carlo era conosciuto negli ambienti di Caluso perché era in rapporti con persone non pulitissime”. Carlo faceva affidamento sulla fama. Grazie a questa avrebbe ottenuto, da Maza, la consegna di una somma di circa quattromila euro nel periodo dal marzo al settembre di tre anni fa. Le richieste arrivavano tramite messaggi, mostrati ai carabinieri in sede di denuncia. Più marginale la posizione di Uzzo al quale, come a Carlo, sono attribuiti comportamenti eccessivamente confidenziali: arrivavano al locale, mangiavano, bevevano, se ne andavano senza pagare. Tra gli episodi uno risale al 14 settembre. “C’era un tale, quel giorno, che infastidiva la cliente - ha riferito in aule Liliana Negro, ex dipendente della pizzeria/kebab sentita come testimone -. Uzzo era intervenuto per dimostrare che stava proteggendo il locale. Ma sono certa che si fossero messi d’accordo”. Uzzo avrebbe manifestato anche una qualche intenzione di acquisire il locale. “So - ha proseguito la donna - che alla festa dell’uva aveva fatto storie perché voleva vendere il vino”. Ma già nel maggio sarebbe entrato annunciando guerra: “andate via, il locale è mio”. Mi pare fosse volata anche qualche sberla - ha precisato la testimone -. Chiedeva a Maza 50mila euro sostenendo che non gli aveva fatto ottenere tutti i permessi per poter gestire il locale. Ma del resto faceva così: quando alzava un po’ troppo il gomito attaccava briga, faceva casino”. Uzzo e Carlo si conoscevano? “Certamente - ha risposto la donna - ma non so che cosa facessero nella vita”.
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