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A 70 anni dalla battaglia di Ceresole

A 70 anni dalla battaglia di Ceresole
Sono trascorsi settant’anni dalla Battaglia di Ceresole e dalla morte del leggendario comandante partigiano Titala. L’anniversario è stato ricordato con una nutrita e variegata serie di manifestazioni, concentrate tra giovedì 7 e domenica 10 agosto e conclusesi la sera del 15 a Ceresole, dove il tradizionale “Falò di Ferragosto” è stato dedicato ai Caduti per la Libertà. Teatro, sport, musica, approfondimenti storici e commemorazione ufficiale sono stati distribuiti tra Alpette, Cuorgnè, Canischio e Ceresole. Rappresentazione teatrale ad Alpette la sera del 7, con lo spettacolo “(Omissis) - Non dimenticare” del gruppo Tékhné e conferenza su “Sport e Resistenza” venerdì 8 nella Frazione Ronchi Maddalena di Cuorgnè. Sabato 9 agosto è stata la giornata più ricca di appuntamenti, che hanno coinvolto tutti e quattro i comuni aderenti all’iniziativa: al mattino il “Trial della Resistenza”, gara podistica di 20 km sui sentieri dei Partigiani da Cuorgnè a Canischio ad Alpette; quindi un “Pomeriggio Multisport” ad Alpette ed un’escursione sui Sentieri della Resistenza. Alle 20 Conferenza a Ceresole sulla “Carta di Chivasso” ed alle 21 ancora ad Alpette per il concerto del gruppo “Primule Rosse” e per la presentazione del progetto “Memorie in Movimento”. Domenica 10 è stata poi la giornata di Ceresole: escursione sul luogo in cui venne ucciso Titala, commemorazione ufficiale della Battaglia presso il Monumento ai Caduti quindi, nel pomeriggio, ancora musica con le “Primule Rosse” e conferenza dello storico Nicola Tucci.

Gli organizzatori

  Le manifestazioni per il settantesimo anniversario della Battaglia di Ceresole sono state organizzate dall’ANPI e dall’UISP- Sport per Tutti” insieme ai Comuni di Alpette, Canischio, Ceresole e Cuorgnè ed all’associazione “Amici del Gran Paradiso”. Un ruolo fondamentale è stato svolto dall’ANPI di Alpette e dal suo presidente Osvaldo Marchetti, che ha anche coordinato la cerimonia commemorativa del 10 agosto a Ceresole, facendo gli “onori di casa”… La locale amministrazione è stata infatti poco presente: non c’erano né il sindaco né gli assessori ma solo i rappresentanti dell’opposizione ed il consigliere di maggioranza Marco Blanchetti (peraltro nipote di quel Gildo Blanchetti il cui nome resta legato alla tragedia della Galisia ed al salvataggio dei superstiti). E’ stato Marchetti che ha tenuto il discorso ufficiale e che ha invitato Blanchetti ed il sindaco di Cuorgnè Giuseppe Pezzetto a parlare; a loro ha poi donato le targhe di rame commemorative che l’ANPI aveva fatto realizzare. L’unico gonfalone presente era quello di Alpette ed anche i fiori deposti sul Monumento arrivavano da lì. Va precisato che non è Marchetti a polemizzare (per lui la cosa importante è che la manifestazione sia riuscita bene); è invece tra i residenti di Ceresole che si è avvertito un certo scontento.

Battaglia di Ceresole, celebrazioni e riflessione critica.

  Commemorare significa spesso abbandonarsi ai ricordi e lasciarsi prendere dalle emozioni, rifugiandosi nelle certezze acquisite senza accettare che vengano messe in discussione. E’ un atteggiamento comprensibile e normale, tanto più quando si tratta di un’epopea come quella partigiana, ma porta con sé dei rischi: quelli di scadere nello scontato e nel retorico. Questa cristallizzazione del ricordo finisce, alla lunga, per allontanare chi quegli avvenimenti non li ha vissuti direttamente o sentiti narrare dai protagonisti: i giovani di oggi spesso non sanno nulla della Resistenza e non si curano di saperne, sentendola estranea, remota. Quale miglior terreno per le tentazioni revisionistiche? Non erano mai venute meno ma negli ultimi anni hanno ritrovato nuovo vigore, facendo proseliti tra personaggi insospettabili ed influenti. Ben venga dunque la commemorazione associata alla riflessione, che mette accanto senza confonderle l’emozione e la ragione. Se questa era l’intenzione di quanti hanno organizzato le manifestazioni per i settant’anni della Battaglia di Ceresole, l’obiettivo si direbbe raggiunto, soprattutto per quanto riguarda il pomeriggio di domenica 10 agosto quando, nel freddo contenitore del “Palamila”, si sono alternati sul palco il complesso musicale “Primule Rosse” e lo storico Nicola Tucci. Le canzoni più note ed amate della Resistenza hanno scaldato i cuori; l’analisi storica ha nutrito e stimolato le menti. Tucci – come ha detto il giornalista Guido Novaria, che gli poneva le domande – non ha fatto rimpiangere l’assenza di Gianni Oliva, impossibilitato ad intervenire. Dal canto loro, i ragazzi delle “Primule Rosse” si sono esibiti con bravura e con passione. Si tratta di un gruppo particolare, costituitosi nel 2010 e formato da studenti ed ex-studenti del Liceo Artistico “Renato Cottini” di Torino, intitolato al partigiano omonimo fucilato nel 1944. E’ nato con lo specifico intento di salvaguardare e rinnovare la memoria partigiana attraverso le canzoni popolari della Resistenza; in realtà comprende nel proprio repertorio anche gli altri canti di lotta e di protesta composti tra la fine dell’Ottocento e gli Anni Settanta del Novecento. Nicola Tucci L’intervento dello storico Nicola Tucci è stato davvero interessante ed appassionante. Ha riaffermato l’importanza ed il valore della Resistenza ma senza nasconderne le inevitabili ombre e motivando in modo puntuale le sue affermazioni. “La Resistenza – ha spiegato – fu un fenomeno di popolo ed il suo segreto fu la Comunità: dietro di sé i Ribelli avevano le persone, la gente comune. Nei loro scritti si leggono spesso frasi del tipo: <Stavamo scappando e ci diedero del latte> e non <Ci presero a sassate>. La popolazione era con la Resistenza e ne determinava la Moralità: non mancano episodi di segno opposto, non dobbiamo farne un quadretto bucolico, ma la Lotta di Liberazione nacque come un’istanza della Comunità e non viceversa. Comunità dalla quale i fascisti erano esclusi: non è un caso che incendiassero le case ed uccidessero i passanti, come è significativo che a volte, per ottenere del cibo, si fingessero partigiani”. Comunità poteva essere un paese, una valle, una provincia. Esisteva una solidarietà fra combattenti delle diverse formazioni (“anche se a volte venne messa a dura prova dalla scarsità delle risorse disponibili”) e delle diverse zone, tra le quali si venne a creare una sorta di “Unione Montana” allargata. Ma si fecero anche le prove dell’Unione Europea…: a fianco degli italiani combattevano inglesi, francesi, cechi, slavi. Altro elemento-cardine della Resistenza fu la Montagna “che oggi vediamo come un ostacolo ma che all’epoca offrì un rifugio (la lotta partigiana si sviluppò nei luoghi più impervi e più difficili da raggiungere), consentì le comunicazioni fra le diverse vallate e l’attuazione dell’unica tattica praticabile: quella della guerriglia. Fascisti e tedeschi dicevano con disprezzo: <Sono vigliacchi perché non ci affrontano a viso aperto>. Non era possibile in quelle circostanze! Infatti i gruppi organizzati dai militari secondo le regole della Guerra di Posizione avevano ottenuto scarsi risultati. Di fronte agli attacchi sempre più violenti i resistenti, che sapevano imparare dai propri errori, furono costretti a darsi un’organizzazione, a strutturarsi in divisioni e brigate, ma la tattica di combattimento rimase la stessa. Era un tipo di lotta che i fascisti non avevano previsto”. L’importanza della Resistenza Italiana, che – ha ricordato Tucci – fu la seconda in Europa (superata forse solo da quella titina) viene oggi messa da più parti in discussione mentre si cerca di riabilitare i cosiddetti “Ragazzi di Salò”. Il giudizio dello storico è stato articolato ma netto: “I pesci piccoli, tra il 25 aprile 1945 e la metà di maggio, vennero tutti fucilati. I pesci grossi finirono in galera e ne uscirono grazie all’Amnistia, fra il ’47 ed il ’50, in rari casi nel 1960: a tutti loro fu data una possibilità. Sarebbe successa la stessa cosa se fossero stati i vincitori? Un conto è la buona fede del singolo, altra cosa l’insieme”. Detto questo, è indubbio che “si è pagato un prezzo per come la Resistenza era stata imbalsamata: non dobbiamo ripetere l’errore. La trasmissione della Memoria dev’essere reale e leale, senza retorica. I partigiani non erano superuomini, erano uomini in carne ed ossa, con i loro limiti ed i loro difetti, ma fecero la cosa giusta”. Quali prospettive ha oggi davanti a sé la ricerca storica?, gli ha chiesto Guido Novaria. “La ricerca non finisce mai – è stata la risposta – e la storia locale può offrire molto, a patto che non si ripieghi su sé stessa: è infatti la riproduzione, in piccolo, di quella nazionale. Le pensiamo come due mondi separati ma in realtà interagiscono”. Omissis E’ stato uno spettacolo teatrale ad aprire la lunga serie delle manifestazioni per ricordare la Battaglia di Ceresole ed è stato il Comune di Alpette ad ospitarlo. Com’era giusto, del resto, trattandosi della località in cui ebbe sede la 77° Divisione “Garibaldi” del mitico comandante Titala. Lo spettacolo “(Omissis) – Non dimenticare” è stato messo in scena dal gruppo teatrale dell’associazione culturale “Tékhné” nell’ambito della rassegna itinerante “Voci dei Luoghi” e si è tenuto la sera di giovedì 7 agosto nella sede dell’Ecomuseo del Rame, Lavoro e Resistenza, attirando come prevedibile un folto numero di spettatori. Nella rappresentazione si raccontano le varie fasi della Lotta di Liberazione viste attraverso gli occhi di un ragazzo, uno dei tanti che si unirono alle formazioni partigiane per garantire al proprio Paese un futuro di libertà. Si trattava di Beppe Migliore, un partigiano del cuneese morto nel 2013 che aveva – come tanti suoi compagni di lotta vissuti fino ai giorni nostri – una grande paura. Quella che andasse perduta la Memoria di ciò che era stato, che i giovani crescessero senza sapere e senza ricordare, senza rendersi conto che la Libertà di cui godono è stata una conquista dolorosa. Da qui il titolo: Omissis è l’articolo mancante della Costituzione, che non c’è ma che ci dovrebbe essere. Più che un articolo di legge, quel “Non dimenticare”, così conciso e perentorio, richiama quasi alla mente i Comandamenti. … Del resto il dovere di ricordare non è forse innanzitutto un imperativo morale?    

La Storia Titala, Spartaco in battaglia

  Perché una battaglia che avvenne a Ceresole è stata celebrata soprattutto dalle istituzioni di Alpette? Se lo potrebbero chiedere quanti non conoscono la storia della Resistenza canavesana. Perché quella battaglia – che durò tredici giorni e coinvolse tutta la Valle Orco - vide protagonista la 77° Divisione “Garibaldi” ed il suo comandante Battista Goglio, che vi perse la vita insieme ad altri cinque partigiani (quattro italiani ed un cecoslovacco). Goglio, il cui nome di battaglia era Spartaco I ma che è passato alla storia come “Titala”, era alpettese e nel suo paese aveva dato vita subito dopo l’8 settembre ad un gruppo di resistenza che si era rapidamente accresciuto, diventando ben presto una delle colonne portanti della resistenza canavesana. E’ davvero una bella figura la sua: quella di un uomo che alla causa della Libertà e della Giustizia dedicò tutta la sua esistenza. Nato nel 1894, aveva vissuto l’epoca delle lotte operaie e combattuto contro il nascente fascismo; durante il regime era stato perseguitato ed imprigionato e poi costretto a guadagnarsi la vita con lavori instabili e saltuari. Dopo l‘Armistizio passò subito all’azione ed in breve Alpette divenne un punto di riferimento per i tanti giovani che si davano alla macchia e per gli ex-prigionieri di guerra sfuggiti ai nazisti. La battaglia di Ceresole arrivò – non inattesa dai comandanti delle formazioni canavesane – dopo mesi di successi dei “ribelli”, che non solo dominavano le montagne ma avevano a più riprese avuto in mano i centri nodali di fondovalle. Contro di loro i comandi tedeschi e fascisti andarono all’attacco alla fine di luglio con forze assolutamente soverchianti, nell’intento di liberarsi in un sol colpo dei garibaldini di Titala, dei giellini di Bellandy (che operavano nella Valle di Ribordone), dei matteottini di Piero-Piero (Valle Soana). Consapevoli di non potercela fare, i capi partigiani avevano pianificato una ritirata progressiva dalla zona di Valperga e Cuorgnè – dove l’attacco era iniziato – verso l’alta montagna. Per la 77esima “Garibaldi” Ceresole rappresentava l’ultimo baluardo prima di abbandonare la vallata e scendere nelle Valli di Lanzo per unirsi alle forze garibaldine lì operanti. Titala cadde alla fine dell’ultimo giorno di battaglia, l’11 agosto, quando alla guida della retroguardia aspettava l’arrivo del buio per abbandonare le posizioni. Venne colpito in fronte mentre scrutava i movimenti dei nemici con l’unico cannocchiale della brigata. Il ricordo della sua figura è sempre rimasto vivissimo in tutto l’Alto Canavese e ad Alpette in particolare.
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