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20 Maggio 2025 - 12:42
La scorsa settimana, mentre ero intenta nel fare le pulizie, mi sono imbattuta nel podcast di psicologia Sigmung (che vi consiglio). In particolare, ho ascoltato l’intervista con il Dott. Paolo Veronese sul senso della morte e della vita. Devo dire che mi ha fornito molti spunti di riflessione che, oggi, vorrei condividere con voi.
Il primo aspetto, relativo alla morte, riguarda la sua accettazione, anche quando, sembra impossibile, come per la perdita di un proprio caro. Il dottore ha spiegato che il senso di colpa e l’angoscia sono le emozioni più comuni che si provano in questi casi perché si ha l’idea che se si fosse agito diversamente magari le cose non sarebbero andate in quel modo. Ecco, anche se difficile, la morte va accettata, anche nei casi di suicidio o eutanasia, perché è giusto rispettare la scelta di chi ha deciso di lasciare il proprio corpo su questa Terra.
Parlare della morte non dovrebbe essere uno spauracchio, perché significa, al contempo, riflettere sul valore della vita.
Per chi non crede, probabilmente, può risultare maggiormente difficile dare un significato al nostro “viaggio” sulla Terra. Tuttavia, il professore Veronese, ha condiviso il suo pensiero, confermato anche dalle leggi della fisica, cioè la legge di conservazione: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Questa frase di Antoine-Laurent Lavoisier, chimico e fisico francese, potrebbe riguardare anche la nostra “anima”, cioè quell’energia che ci permette di essere uomini, di avere una coscienza. In questo senso, allora, il nostro compito sulla Terra, potrebbe essere proprio un’evoluzione animica, una sorta di “viaggio” per avvicinarci all’Universo, all’Uno. D’altronde, anche Dante ci ha esortato in questo approccio alla vita: “considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
Potremmo, quindi, considerare la vita come un percorso di crescita personale in cui miglioriamo o acquisiamo virtù, consapevolmente.
Molto bella è la poesia di Konstantinos Kavafis che ha letto il Dott. Veronese in conclusione della sua intervista: “Itaca”.
Non ve la riporto integralmente ma vi consiglio di leggerla in questo link.
Conoscevo già questa poesia ma l’avevo interpretata solo sotto il profilo di come raggiungere i propri obiettivi e traguardi personali, mai come una metafora della vita.
Invece, attraverso l’allegoria del viaggio dell’eroe greco il poeta narra una verità esistenziale: la navigazione di Ulisse si trasfigura così nel percorso della vita che in realtà non ha altra meta se non il viaggio.
L’isola remota di Itaca, nel procedere dei versi, assume le vesti di un’utopia diventando non un approdo sicuro e confortevole, ma un concetto astratto. Nella conclusione il poeta dice: “Già avrai capito quel che Itaca vuole significare” e con queste parole enigmatiche intende che l’uomo, giunto alla fine della propria esistenza, capirà che in fondo la meta non è poi così importante.
Itaca rappresenta una tensione dell’anima verso l’alto, l’assoluto, l’irraggiungibile.
Cosa portare a casa da questi insegnamenti? Per quanto mi riguarda che ogni giorno andrebbe vissuto con pienezza e significato, con la capacità di gioire per la bellezza delle piccole cose e con la volontà di migliorarsi, sempre. Che i problemi possono essere percepiti come sfide e che tutto può assumere una luce più “epica”. Che il tempo passato non torna indietro, ricordando Lorenzo il Magnifico “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c’è certezza.” Che ogni giorno è un dono ed è speciale. Che la felicità e la “pienezza” va ricercata nel "qui e ora"!
Spero che queste considerazioni possano essere uno spunto di riflessione per voi e, come sempre, vi auguro una splendida settimana!
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