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PONT CANAVESE. In chiesa come sardine in scatola

PONT CANAVESE. In chiesa come sardine in scatola

Parrocchiale di San Costanzo

[caption id="attachment_43460" align="alignleft" width="88"]Don Vallero Don Vallero[/caption] Pigiati come sardine. Appiccicati gli uni agli altri come su un autobus cittadino nelle ore di punta. Impegnati nella difficile impresa di trovare sul pavimento uno spazio sufficiente a contenere entrambi i piedi e nell’impresa non meno ardua di non farsi mancare il respiro. Infagottati – vista la stagione - in giacconi e sciarpe, che aumentano lo spazio occupato da ciascuna persona. Le donne alle prese con il problema delle borsette, che non si sa come far stare tra il proprio fianco e quello del vicino; tutti – quando piove – assillati dalla domanda: “Come evitare che il mio ombrello sgoccioli sulle scarpe altrui?” E chi non riesce ad entrare nemmeno spintonando se ne sta fuori, nella piazzetta, al freddo e sotto la pioggia, senza sentire neppure una parola della messa. Difficile, in queste condizioni, concentrarsi sulle preghiere e pensare al defunto che si dovrebbe commemorare. Succede quando ai funerali partecipano tante persone, a Pont come altrove. Solo che a Pont, dall’inizio di gennaio, succede anche quando la partecipazione si mantiene nella media perché da gennaio, sia pure in via sperimentale e solo per il periodo invernale, non vengono più celebrati in parrocchia bensì nella chiesetta di San Francesco. A qualcuno arrivato da fuori è capitato di chiedersi perché i familiari del tale o talaltro defunto avessero operato una scelta tanto infelice; chi vive in paese e riceve il bollettino sa invece che la decisione era stata presa dal parroco don Aldo Vallero, che l’aveva comunicata sul numero di dicembre. Nel rendere nota la sua scelta aveva spiegato che lo aveva fatto per andare incontro alle richieste delle persone anziane, che si lamentavano della fatica di raggiungere a piedi San Costanzo; aveva anche sottolineato come la chiesa di San Francesco offrisse “un maggior raccoglimento”. In realtà le motivazioni, a quanto poi è venuto fuori, erano anche (e forse principalmente ) economiche: riscaldare San Costanzo è difficile e costoso. Le reazioni dei pontesi non sono state e non sono univoche. C’è chi si schiera decisamente a favore del nuovo sistema ma molti mugugnano, magari a mezza voce com’è nelle abitudini dei canavesani. Anche perché qualche funerale sfugge alla regola: quando si sa che vi sarà un forte afflusso di persone, si ritorna a San Costanzo. Meno male, altrimenti sarebbe il caos, tuttavia è ovvio che i familiari dei defunti "normali" ci rimangano male: “La nostra famiglia, per la chiesa, vale di meno?”.  

I problemi economici

  [caption id="attachment_43461" align="alignleft" width="135"]Pont. Chiesetta di San Francesco. Chiesetta di San Francesco.[/caption] Sottovalutare le motivazioni economiche che stanno alla base di questa decisione sarebbe errato oltre che ingiusto: se un parroco compie scelte del genere vuol dire che ha seri problemi a far quadrare i conti. Capita a molti di loro, dopo che il Concordato del 1984 stabilì nuovi criteri di finanziamento per i sacerdoti. Del resto è probabile che dall’altare, con l’attenzione concentrata sulla celebrazione, non ci si renda ben conto dei disagi che si vivono dalla parte opposta dell’edificio. Tuttavia sembrerebbe giusto tener presenti anche le esigenze dei fedeli. I funerali non sono come le messe, non se ne celebrano tutti i giorni e sono concentrati nelle ore centrali della giornata (quando il freddo è meno intenso), non in quelle serali o pre-serali come i Rosari. Sebbene la crisi economica stia incidendo sulle spese di ogni tipo, non si sarebbero potuti trovare, nelle famiglie devote ed agiate (qualcuna ne sarà pur rimasta!) un certo numero di benefattori disposti a contribuire agli oneri del riscaldamento con una donazione alla voce specifica ”riscaldamento della chiesa”?  

Funerali a San Francesco: un fallimento

  Se l’obiettivo, nello spostare i funerali dalla chiesa parrocchiale di San Costanzo alla chiesetta di San Francesco, era quello di ridurre i disagi per chi ha problemi di deambulazione, non sembra essere stato raggiunto: tanto vale evitarsi la salita se questo ha per contrappeso il rimanere in piedi tutto il tempo, ammucchiati in fondo alla chiesa o lungo le pareti laterali. Qualcuno, a causa dell’affollamento, non riesce nemmeno ad estrarre dal portafoglio il denaro per l’Offerta…Chi arriva in forte anticipo riesce a sedersi ma il problema rimane visto che i posti non si moltiplicano come i pani ed i pesci. Se l’obiettivo era invece quello di offrire un ambiente confortevole e caldo a quanti soffrono per la perdita di una persona cara ed a chi condivide il loro dolore, in questo caso il fallimento è accertato. Si lamentava tutta intirizzita una signora dopo uno di questi funerali: “Sono andata lì mezz’ora prima per trovare posto: il portone era spalancato in attesa del feretro, il riscaldamento ovviamente lo hanno acceso dopo. E’ stato terribile”. Lì non ci sono tendoni davanti al portone – come nella chiesa maggiore - per bloccare in parte l’aria fredda e questa, date le dimensioni ridotte dell’edificio, raggiunge ogni angolo. Peggio che a San Costanzo! Qualcuno, parlando della situazione, ironizza: “Il prossimo spostamento sarà alla cappella della Rogge?” e qualcun altro fa battute del tipo: “Spero di non morire in inverno perché lascerei detto ai miei di far celebrare la funzione funebre in un altro paese!”.  

SAN COSTANZO E SAN FRANCESCO: DA UN ESTREMO ALL’ALTRO

  Chi conosce la Chiesa di San Costanzo non può che concordare sulla scomodità di accesso, visto che alla parrocchiale – situata sulla collina che culmina con la Torre Ferranda - si arriva tramite una salita caratterizzata da forte pendenza, faticosa per le gambe e per il fiato, insidiosa in caso di neve o di ghiaccio. Inoltre la chiesa è assai fredda durante l’inverno: raggiungere una temperatura accettabile costerebbe troppo date le sue dimensioni. Quando venne ampliata a fine Ottocento (ingrandendo l’edificio sorto due secoli e mezzo prima sul sito della cappella medievale) Pont era un paese in piena espansione, caratterizzato da un vivace sviluppo industriale e da un continuo aumento della popolazione, che vi affluiva dalle vallate circostanti per lavorare nell’imponente Manifattura tessile. Così San Costanzo (da poco diventata parrocchia al posto di Santa Maria di Doblazio) passò da 318 a 500 metri quadrati di superficie. Troppo per le esigenze odierne: estesa in profondità ed in larghezza e piuttosto sviluppata in altezza (l’aspetto neo-romanico della facciata in pietra non tragga in inganno), è difficile da riscaldare. Non era così qualche decennio addietro, quando il combustibile costava poco ed i sacerdoti avevano entrate più consistenti ma le cose sono cambiate. Parve pertanto legittimo, a suo tempo, spostare una parte delle cerimonie di culto a San Francesco, situata nel centro storico: piccola, facile da raggiungere, senza salite né scalinate. Perfetta o quasi. Perfetta se alla funzione partecipano poche decine di persone… Perché San Francesco, nata come chiesa conventuale per i frati che vivevano nel monastero lì accanto, non è “più piccola” di San Costanzo: è “piccola” in termini assoluti. Null’altro che una chiesetta di rione, ad una sola navata, con pochissimo spazio libero tanto all’ingresso che a lato dei banchi che davanti al presbiterio. Va benissimo per le messe feriali, assai meno per quella pre-festiva del sabato e per quella domenicale. Va bene per i Rosari se il defunto è persona con pochi parenti e poco conosciuta e se l’ora scelta sono le 17,45, quando molti sono ancora al lavoro. Non va bene per nulla, nella brutta stagione, se si tratta di persone note, tanto più quando la recita del rosario avviene subito prima o subito dopo la messa. D’estate si lascia il portone aperto e ci si assiepa sulla piazzetta: lì non si soffoca ma la possibilità di prestare attenzione alla recita delle preghiere è scarsa. Nonostante i disagi la popolazione, rendendosi conto del problema, aveva accettato tutto questo, pur lamentando che i Rosari non venissero spostati in parrocchia più di frequente. I funerali, però, no! La cerimonia con cui ci si congeda dai propri cari dovrebbe avvenire nella calma, nella lentezza, nel raccoglimento, non trasformarsi in una corsa ad ostacoli. Già i pontesi sono penalizzati dalla distanza fra centro dell’abitato e cimitero. Fino agli Anni Settanta questo rendeva le cerimonie funebri lunghissime e faticose; con la decisione di effettuare tale spostamento in auto o in pullman si alleviò il disagio ma si introdusse un elemento di ansia, divenuto via via più forte man mano che aumentavano i veicoli in circolazione e diminuivano i posti-auto. Quanta gente se ne andava frettolosamente al momento dell’Eucarestia per trovare un posto a sedere sul pullman o per correre a prendere l’auto e filare al cimitero, pena non riuscire a parcheggiare ed arrivare accanto alla tomba a tumulazione avvenuta! Mancava solo quest'ultima decisione per svilire definitivamente, agli occhi dei fedeli, il valore delle cerimonie funebri, già avviate da tempo a trasformarsi, come nelle grandi città, in un’incombenza superflua e persino fastidiosa da sbrigare il più in fretta possibile.
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