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29 Settembre 2021 - 15:00
L’area To-10 è, secondo Sogin, “potenzialmente idonea” ad ospitare il Deposito
NUCLEARE. La Città Metropolitana di Torino, la Provincia di Alessandria, molti parlamentari locali e i Comuni piemontesi nei quali sono state individuate aree “potenzialmente idonee” alla realizzazione del Deposito nazionale per il materiale radioattivo si sono accorti con un decennio di ritardo che in Italia esiste una norma - il decreto legislativo n. 31 del 15 febbraio 2010 - che definisce con precisione (l’art. 27 è composto da una ventina di commi) la procedura per l’autorizzazione e la costruzione del Deposito. Pur essendo quello delle scorie radioattive un problema molto piemontese (la maggior parte di quelle italiane si trovano “temporaneamente”, da decenni, in siti piemontesi) se ne sono accorti solo nel gennaio scorso, quando alcune delle aree “potenzialmente idonee” sono state individuate da Sogin sul territorio piemontese. E da allora, pur se la procedura è ormai in corso da anni, stanno facendo di tutto per bloccarla e modificarla. Il treno è a metà percorso ma vorrebbero farlo tornare alla stazione.
La mozione multipartisan discussa e votata dalla Camera dei Deputati nell’aprile scorso costituisce la summa di questa strategia: la Camera «impegna il Governo» ad adottare un provvedimento che - questo è l’obiettivo sotteso ai 21 punti della mozione - modifichi la procedura definita nel decreto del 2010.
Questa strategia non ha sortito finora alcun effetto, se non quello di allungare (opportunamente, considerata l’emergenza Covid) da 60 a 180 giorni i termini per la presentazione delle osservazioni alla Cnapi: è questa l’unica modifica apportata negli ultimi mesi a quel decreto. I «tempi strettissimi» di cui si lamentano Marocco e i sindaci sono stati allargati, e tutti - nello scorso luglio - hanno potuto presentare osservazioni; inoltre al termine del Seminario ci sarà un’ulteriore “finestra” per presentarne eventuali altre.
Per il resto, il Governo - in cui, tra l’altro, sono rappresentati pressoché tutti: Pd, M5S, Lega, Forza Italia, ecc. - non ha modificato la procedura di una virgola. La mozione parlamentare, infatti - ma qui siamo all’abc del diritto costituzionale - è uno strumento di indirizzo politico di una o di entrambe le Camere al Governo su una determinata questione, ma non comporta alcun vincolo giuridico per il Governo, che può assumersi la responsabilità politica di comportarsi diversamente dall’indirizzo indicato: come finora ha fatto.
Ecco quindi che dichiarare che Sogin, procedendo come previsto dal decreto vigente e mai modificato, sarebbe «un’azienda di Stato che agirebbe fuori dagli indirizzi formulati dal Governo» è un’affermazione senza senso, per due motivi: 1. perché gli indirizzi (contenuti nella mozione) non li ha formulati il Governo bensì una delle Camere; 2. perché il Governo non ha cambiato il decreto, e Sogin - che è “di proprietà” di un unico socio: il Ministero dell’Economia e delle Finanze - si sta attenendo a quel che il decreto prevede, e non può fare diversamente.
Anche l’affermazione secondo cui i rappresentanti delle categorie economiche non avrebbero «voce in capitolo» è destituita di fondamento: gli stakeholders - oltre ad aver presentato le osservazioni tra gennaio e luglio - possono intervenire direttamente nel Seminario. Anziché lamentarsi si sveglino, mandino la richiesta di iscrizione a una delle prossime sessioni e intervengano.
Al di là degli sfondoni contenuti nel comunicato di Città Metropolitana, la questione di sostanza è però un’altra: gli enti piemontesi non si rendono conto che, stante così il decreto (che, ripetiamo, il Governo da aprile ad oggi non ha cambiato), per evitare che il Deposito nazionale venga ubicato in un’area “potenzialmente idonea” del Piemonte hanno un’arma formidabile: chiedere la revisione dei criteri con cui Sogin ha stilato l’«ordine di idoneità» dei siti «sulla base delle caratteristiche tecniche e socio-ambientali».
I criteri che hanno determinato quella graduatoria (che vede i siti piemontesi nelle prime posizioni), infatti, non sono stabiliti nel decreto o nell’ormai celebre Guida tecnica n. 29 di Ispra, ma sono stati decisi unilateralmente e discrezionalmente da Sogin parallelamente alla redazione della Cnapi. Sarebbe quindi più che opportuno chiedere - come hanno già fatto alcune associazioni ambientaliste - che vengano ridiscussi in un’apposita sessione del Seminario (finora non prevista) a cui partecipino anche gli Enti territoriali. Perché la Città Metropolitana di Torino, la Provincia di Alessandria e i Comuni interessati non lo chiedono?
L’alternativa è continuare a sperare nell’intervento sull’esecutivo di deputati e senatori amici: pia illusione, perché - come vediamo quotidianamente - questo Governo procede prestando ben poca attenzione agli umori parlamentari. Ma così continueremo a vedere sindaci che fanno i “piangina” («hanno già deciso tutto, ci vogliono fregare», ecc.) senza alcun risultato tangibile, come nel Chivassese stanno facendo da nove mesi a questa parte.
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