Un altro anno scolastico è finito. Il secondo dell’era Covid, il primo, in assoluto, in cui tutti si sono sentiti in dovere di parlare di scuola, tutti con la stessa perizia, e competenza, di chi argomenta della formazione della Nazionale di calcio prima di un Campionato del Mondo.
Probabilmente passerà alla storia come l’anno dei tanto vituperati banchi a rotelle o, forse, come quello della scoperta che la didattica a distanza non è come la scuola normale, rivelazione che, per sensazionalità, è seconda solo alla presa d’atto che, con le stampelle, non si può correre la maratona di New York.
Per chi l’ha vissuto in prima persona, però, quest’anno, obiettivamente, è stato qualcosa di più che non qualche ovvia, rancorosa banalità. Per esempio, è stato l’anno delle interminabili, faticose ore passate a parlare, o ad ascoltare, seduti davanti allo schermo di un computer che, fino a qualche tempo prima, noi adulti avevamo usato solo per spedire qualche mail ed i nostri figli per giocare.
L’anno delle verifiche da casa, con i ragazzi che escogitavano i trucchi più raffinati per copiare e noi docenti che, dimentichi che lo stesso accadeva anche in presenza, ci siamo arrabbiati, offesi e persino rassegnati, prima di scoprire che la differenza potevamo farla proprio noi, magari proponendo attività un po’ più strutturate che non un semplice test a scelta multipla.
L’anno delle riunioni collegiali in videoconferenza, a microfono spento e con la telecamera disattivata, e delle interminabili prediche per convincere i ragazzi, collegati a distanza, a tenere attive le loro webcam. L’anno “serio”, in cui, finalmente, si è potuto tornare a bocciare, mentre quei poveri studenti che, l’anno prima, avevano gioito per un’inaspettata promozione, hanno dovuto patire le pene dell’inferno, perché costretti a continuare in una scuola che non era la loro.
Ma, soprattutto, l’anno dei “Soloni” che hanno deciso che il diploma di quest’anno, come quello dell’anno prima, non vale nulla perché, appunto, “la didattica a distanza non è vera scuola”.
Noi, ridente Paese dove ogni tanto scoppia il caso di qualche presunto diplomificio; noi, patria di eroi e di moltitudini di fieri quarantenni, diplomatisi a fine anno novanta, sfruttando i “debiti formativi” che permettevano loro di trascinarsi dietro cumuli di materie insufficienti senza l’obbligo di doverle recuperare; proprio noi, dicevo, ci permettiamo di svalutare il lavoro di tanti ragazzi che hanno faticato in condizioni impossibili, andando oltre i facili alibi che avrebbero potuto permettere loro di non fare nulla e di lamentarsi, come facciamo spesso noi adulti.
Ragazzi che, per essere valutati in presenza, hanno superato settimane piene di interrogazioni che, se fossero toccate a noi grandi, avremmo messo in campo sindacati, parlamentari ed avvocati.
No, niente da dire, ragazzi: il vostro sarà un diploma di tutto rispetto e, se agli eroi di Austerlitz, secondo Napoleone, era sufficiente dire di aver combattuto in quella battaglia per sentirsi dire: “Ecco un coraggioso!”, lo stesso capiterà a voi, quando direte: “Io sono sopravvissuto a due anni di didattica a distanza!” Chapeau!