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Ma che cavolo di politica è quella che pone le regole e poi beatifica chi a quelle regole non vuole starci?

Ma che cavolo di politica è quella che pone le regole e poi beatifica chi a quelle regole non vuole starci?

DAD (foto d'archivio)

Qualche inconfutabile considerazione dopo un anno di didattica a distanza. La prima, fondamentale: la DAD non è un nuovo modo di fare scuola o un’alternativa alle lezioni tradizionali. È una soluzione temporanea, il meglio che si potesse fare, in una situazione di emergenza, così come un senso unico alternato in autostrada non è un nuovo modo di concepire la viabilità, ma un semplice accorgimento per non bloccare del tutto il traffico. La seconda: la DAD non è un lungo, godibilissimo intervallo, nel quale si fa finta di fare lezione, così come lo smart working, in genere, non è un periodo di ferie in cui ogni tanto accendi il computer per farti gli affari tuoi. Vero, c’è stato un avvio faticoso, ma poi, grazie anche ad un epocale progresso, forzato, delle competenze informatiche dei docenti, si sono sviluppati modi di fare lezione che meritano di essere presi in considerazione anche per futuri tempi di normalità. La terza considerazione, prova di quanto detto, è che, ad oggi,  moltissimi studenti, oserei dire la maggioranza, sono stanchissimi, come, di solito, lo erano a fine anno scolastico. Infatti, la presenza a scuola a settimane alterne li sottopone a raffiche inesauribili di verifiche scritte ed orali, sventagliate di test preparati da docenti terrorizzati dal pensiero che, durante le verifiche a casa, gli studenti possano copiare. Bene, fatte le dovute premesse, veniamo al sodo. A Torino una ragazzina di 12 anni, Anita, anti DAD convinta, protesta seguendo le lezioni sugli scalini della scuola. Sostiene che gli studenti italiani sono stati privati del loro innegabile diritto all’istruzione e rivendica la necessità di tornare in classe per evitare ulteriori danni psicologici agli studenti. Ci sta. Sono posizioni accettabili, comprensibili. Sono opinioni e, come tali, da rispettare, soprattutto perché portate avanti da una ragazzina. Quello che non ci sta è che alcuni docenti, presunti educatori, o pagati per essere tali, l’abbiano riempita di nomi sui social per le sue posizioni. Se è successo, è una schifezza, esattamente come augurare la morte ai poliziotti ad un corteo o insultare sui social, o alla radio, un politico che ha idee diverse dalle tue. Se sei così, non sei un docente o, meglio, non puoi insegnare perché non hai i requisiti minimi. Però, devo anche dire che rendere Anita un simbolo di Dio-solo-sa-che-cosa mi lascia perplesso. E, soprattutto, mi lascia perplesso, e non poco, il fatto che la politica, che è la prima responsabile delle scelte anti contagio, accolga la ragazzina come se stesse pronunciando verità inconfutabili. Certo che lei esprime un comprensibile disagio, ma quei politici, presunti carnefici, che incensano la loro presunta martire, si sono chiesti chi e quanti studenti rappresenta? Sono davvero certi che quelli che la pensano come Anita siano nel giusto e che tutti gli altri siano degli scansafatiche? E se, invece, più semplicemente, tutti gli altri fossero ragazzi responsabili che accettano, seppur a malincuore, le regole che proprio loro, i politici che incensano Anita, hanno imposto per la salute di tutti? Gli studenti che tacciono sono forse da considerare dei pecoroni, solo perché fanno il loro dovere o perché realmente convinti che viaggiare su mezzi di trasporto stracolmi non sia propriamente sano e, tantomeno, lo sia stare in classi affollate? Ma che cavolo di politica è quella che pone le regole e poi beatifica chi a quelle regole non vuole starci? Perché, esattamente come hanno fatto con Anita, non convocano alla commissione per la Cultura della Camera anche uno delle migliaia di studenti che stanno affrontando la DAD, da casa, per capire un po’ di più di questo strumento, magari per migliorarlo, senza per forza fermarsi alla ovvia, e banale, affermazione che la DAD “non può sostituire le lezioni in presenza”? Ma che bella scoperta! E se invitassero alla Camera, che so io, il proprietario di una palestra che è chiusa da un anno e che, tutti i santi mesi, paga le bollette, che cosa pensate che direbbe della sua situazione? Più o meno le stesse considerazioni che Anita dispensa sulla scuola. Voglio dire, se cerchiamo martiri, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Beh, vero, Anita fa colpo perché è una ragazzina, ma, soprattutto, fa tremendamente comodo a quella “politica” che pensa di parlare ad elettori deficienti, quella che adora sbandierare casi strappalacrime, gli stessi che vediamo spesso in televisione e che fanno venire quel magone che, poi, devi per forza andare a condividere sui social. La studentessa di dodici anni che dice di amare le lezioni più delle vacanze fa già colpo senza che ci spieghi la ragione. È la voce della, presunta, responsabilità che si staglia in un mare di, altrettanto presunta, sconsideratezza adolescenziale. E poi, siamo sinceri, ultimamente piacciono i ragazzi che ragionano da adulti, come Greta, prima, e Anita ora. Chissà, forse perché ci dà la piacevole sensazione che, in fondo in fondo, non dobbiamo più insegnare loro nulla e che, quindi, ci resta un sacco di tempo libero per andare a postare qualche perla di saggezza sui social: questa sì, vera roba da grandi…
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