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23 Dicembre 2019 - 17:27
La stalla della cascina Barattia a Settimo Torinese
Sul fascino e le suggestioni del Natale si sono scritte migliaia di pagine, alcune di grande valore letterario, altre venate di manieristiche sdolcinatezze. Troppo frequentemente si rimpiangono le tradizioni e le usanze del buon tempo andato, quando il consumismo era una parola sconosciuta, i negozi non traboccavano di generi voluttuari e nelle strade brillavano poche luci multicolori.
Non c’è dubbio che il Natale abbia perso molto della sua poesia. Ma siamo certi che l’atmosfera incantata della festa coinvolgesse, in passato, davvero tutti? Stando a ciò che si ricava dalle vecchie cronache, i poveri dovevano misurarsi con le consuete difficoltà, inasprite dai rigori della stagione invernale. Gli archivi delle parrocchie conservano memoria di tanti drammi che si consumarono proprio nei giorni delle feste natali¬zie. Una casistica abbastanza ampia riguarda Settimo Torinese.
Ad esempio, il 30 dicembre 1681, nel cimitero di San Pietro in Vincoli, si seppellì il mendicante Costantino Gay di Roccavignale, morto nel priorato di Rivo Martino, dove aveva ottenuto temporanea ospitalità. Forse la stalla in cui fu accolto assomigliava a quella di Betlemme: «la povera stalla dei paesi antichi, dei paesi poveri, del paese di Gesù», per dirla con Giovanni Papini (1881-1956). Ossia un luogo assolutamente privo di poesia, non «il loggiato con pilastri e capitelli» o «la capannuccia elegante delle vigilie di Natale». Perché – come scriveva Papini – la «vera stalla», «buia, sporca, puzzolente», non ha nulla a che vedere con «il lieto portico leggero che i pittori cristiani hanno edificato al Figlio di David, quasi vergognosi che il loro Dio fosse giaciuto nella miseria e nel sudiciume».
Una sorte analoga a quella di Costantino Gay toccò a una donna di cui s’ignora il nome, morta il 12 dicembre 1791 nella cascina San Giorgio, in prossimità della quale era stata rinvenuta gravemente ammalata. Il 5 gennaio 1742, in Settimo, fu sepolto il pellegrino francese Antoine Brun di Guillestre, una località alpina del Delfinato. Il 22 dicembre 1688 decedette improvvisamente un pellegrino pugliese, di ritorno dal santuario di Santiago de Compostela: «bis sua expiavit crimina», commentò il parroco di Settimo, don Emanuele Gavotto. Chissà quale peccato lo aveva condotto sulla tomba dell’apostolo Giacomo!
Commovente fu la morte di Jean Gunière, un pellegrino settantenne di Lanslebourg in Savoia, che tornava a piedi da Roma. Ricevuta l’estrema unzione a Brandizzo, essendo caduto in acqua, egli cercava di proseguire il cammino, benché febbricitante. Giunto a Settimo, nei pressi della cappella campestre di San Rocco, stramazzò al suolo, privo di vita. Era il 29 dicembre 1674.
Forse vale la pena di trarre dalla polvere degli archivi un numero del bollettino interparrocchiale di Settimo Torinese. È datato dicembre 1974. Ormai, a quarantacinque anni di distanza, si tratta di un documento storico, benché attualissimo per i suoi contenuti. «Qualcuno – vi si legge – questi giorni li vivrà sì in ansia ed inquietudine, ma non per misteriosi slanci religiosi. È in cassa integrazione; oppure l’aumento del costo della vita gli ha tagliato a metà la pensione; forse sta battendosi in quella sciagurata “guerra tra i poveri” per avere una casa decente. Qualcun altro sta facendo il bilancio delle cose belle della sua vita: e non ne trova. Magari conclude: sono inutile. Un altro guarda se ha qualcuno vicino: e non ha nessuno. Soltanto questo rovina la gioia di Natale dei cristiani». Ai giorni nostri come oltre tre secoli fa, al tempo di Costantino Gay, mendicante, e Jean Gunière, pellegrino.
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