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18 Novembre 2019 - 12:00
Ad aprire la stagione autunnale delle conferenze organizzate a Castellamonte dal Consiglio di Biblioteca è stata quest’anno la presentazione del volume “Nuto Revelli. Vita Guerre Libri” edito dalla casa editrice eporediese Priuli & Verlucca. L’autore è Giuseppe Mendicino, che ne ha parlato nel corso dell’incontro tenutosi al Centro Congressi “Martinetti”.
Mendicino - noto soprattutto come studioso di Mario Rigoni Stern – ha raccontato Revelli in rapporto ad altri due grandi scrittori suoi coetanei, che vissero vicende analoghe e divennero famosi grazie ai libri di ricordi sulla Seconda Guerra Mondiale: Rigoni Stern appunto e Primo Levi. “Dei tre – ha spiegato – Revelli mi parve all’inizio il più fortunato. Scoprii poi che non era così perché dagli anni della guerra e della lotta partigiana era uscito col viso devastato, senza naso e con gli occhi ad altezze differenti: gli occhiali che portava sempre non erano da vista; servivano a nascondere la patata che aveva al posto del naso”.
In guerra non era andato controvoglia: “Sono partito per la Russia – scrisse - perché pensavo che , venuta la guerra, un ufficiale effettivo avesse l’obbligo morale e professionale di parteciparvi”. La presa di coscienza non fu immediata e soltanto durante la Ritirata nella steppa si rese conto chiaramente di come stessero le cose e di come i soldati italiani fossero stati prima mandati allo sbaraglio (con indumenti , calzature ed armamenti del tutto inadeguati) e poi, al momento della disfatta, abbandonati a sé stessi. Rientrato in Italia, dopo il disfacimento della IV Armata successivo all’8 settembre, decise di andare in montagna. “Non aveva idee politiche – racconta Mendicino – ma sentiva la necessità di “ripulirsi” interiormente dopo quello che aveva visto e subìto”. Le idee sarebbero venute poi.
Come per gli altri due autori, la fama di Revelli nasce con un libro di memorie sull’esperienza della guerra: per Levi è il lager di Auschwitz ; per gli altri due la Russia. “Lui e Rigoni Stern erano nella <Tridentina> ma non s’incontrarono mai”. Si sarebbero incontrati e sarebbero diventati amici più tardi, accomunati dalle esperienze, dal desiderio di raccontare per far conoscere ciò che era accaduto e da uno stile che per tutti e tre gli scrittori è nitido, semplice, immediato. “La Guerra dei Poveri” è il libro più famoso di Revelli ma non il primo: venne pubblicato all’inizio degli Anni Sessanta ma era stato preceduto da altri. Ad aprire la strada “Mai tardi.
Diario di un alpino in Russia”, uscito nel 1947.
Diventato scrittore per caso, continuò ad esserlo per scelta e, dopo la sua fondamentale testimonianza sulla guerra, in tempi successivi si dedicò ad un lavoro certosino e prezioso di raccolta delle testimonianze della vita contadina, di un mondo che appariva ormai destinato a scomparire in quegli anni di industrializzazione e di emigrazione dalla campagna e dalla montagna verso le città. Nacque allora “Il mondo dei vinti” e più tardi “L’Anello forte”, con le donne come protagoniste.
Nessuno dei tre scrittori di cui parliamo fece della letteratura la propria professione ma – dice Mendicino – “un ragazzo che legge le loro opere impara a scrivere”. Il valore delle loro opere è rimasto intatto col trascorrere dei decenni ed intatta la validità dei moniti che hanno lanciato. La Memoria va coltivata perché “L’Uomo non è buono per definizione” e “L’assenza di Conoscenza – non solo il sonno della Ragione - genera mostri”.
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