Scherzare fa parte della natura umana. Si scherza da tempo immemore: dal serpente che prende per i fondelli Eva, con sciagurate conseguenze per l’umanità intera, fino a Zingaretti che telefona a Salvini, garantendogli che mai e poi mai avrebbe fatto un accordo con i Cinque Stelle (sulla valutazione delle conseguenze di questo scherzo ognuno ha le proprie legittime opinioni e dunque soprassiederei...). Scherzano tutti: potenti, ricchi, poveracci, uomini e donne. Persino i Papi, magari senza volerlo, come Pio IX che prima sostenne e poi ripudiò l’Unità d’Italia, dando origine al detto “scherzo da prete” ancora oggi usato per indicare uno scherzo di cattivo gusto, fatto da qualcuno insospettabile. Tutti quanti abbiamo fatto e subìto scherzi. Ricordo quando i telefoni avevano la cornetta, e le chiamate cominciavano sempre con un bel “Pronto, chi parla?” perché i display non esistevano, e noi, liceali un po’ balenghi, ci divertivamo a chiamare numeri scelti a caso dall’elenco, spacciandoci per presentatori di fantomatici quiz miliardari. Suonare i campanelli e poi darsela a gambe era un altro scherzo di quei giorni ancora privi di videogiochi, scherzo che oggi non riusciresti più a fare perché, tra agenti immobiliari che vogliono comprarti l’alloggio e testimoni di tutte le fedi del mondo, la gente preferisce far finta di non essere in casa e non chiede nemmeno più “Chi è?” al citofono. Poi, chiaro, i tempi cambiano e cambiano anche le mode. Oggi, ad esempio, imperversa tra i giovani un nuovo tipo di scherzo, chiamato “Samara Challenge” ed ispirato alla ragazzina protagonista del film horror “The Ring”, di nome Samara, appunto. Sostanzialmente si tratta di indossare una lunga tunica bianca, una parrucca di capelli neri, lunghi, e andare in giro di notte, brandendo un coltello, per ora finto, a spaventare la gente. Detto così, niente di originale se è vero che già nel medioevo, a Chivasso, gli antenati degli attuali Abbà facevano la stessa cosa sotto i portici di via Torino. Non mi sorprende neanche tanto il fatto che le malcapitate vittime, considerata la pesantezza dello scherzo, reagiscano spesso malmenando la Samara di turno (mi preoccuperei piuttosto del fatto che oggi la gente non ha mezze misure e passare dai calcio nel sedere al coltello potrebbe essere un attimo). Praticamente normale anche il fatto che lo scherzo debba essere filmato e postato sui social. Mi colpisce, piuttosto, la contagiosità della cosa. Oggi le Samare notturne proliferano come i porcini a settembre. Lo scherzo dovrebbe essere bello per la sua originalità, la sua unicità. Li dovrebbe stare il suo senso, come le celebri “zingarate” di Amici Miei, per intenderci. Qui invece, più che lo scherzo, o la voglia di divertirsi, sembrano contare i like e le condivisioni che il filmatino riceve sui social. È lo specchio di una società in cui le reazioni del pubblico contano più del gesto che facciamo. La condivisione dell’evento con una presunta folla di invisibili ed accondiscendenti amici virtuali prevale sul significato del gesto stesso, privandolo di senso e di valore intrinseco. Così il Samara Challenge da scherzo, si sta inesorabilmente trasformando in una fastidiosa messinscena che rischia di scatenare reazioni incontrollate. Ragazzi, come dice il Marchese del Grillo: “Quanno se scherza, bisogna èsse’ seri!”. Lasciate perdere.
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