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03 Luglio 2018 - 17:29
Municipio Settimo
Sarebbe meglio tacere e riflettere. Fermarsi e pensare. Qui c’è da ri-sistematizzare le coordinate. Ricercare le ragioni, i soggetti sociali (le classi?) di riferimento, le contraddizioni del presente, la proposta. Un lavoro alla radice insomma. Stavolta si tratta di rifondare sì, non un partito, una sigla, un’alleanza, ma un pensiero politico.
Va da sé che non è un affare solo italiano: in tutt’Europa il pensiero socialista non va più di moda, i partiti socialdemocratici e socialisti crollano nei consensi. Due soli esempi per tutti: in Germania il risultato ottenuto dai socialdemocratici alle elezioni federali del 2017 è stato il peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale. In Francia, alle presidenziali, il Partito socialista è sprofondato in una crisi senza precedenti. Il presidente François Hollande, così impopolare da rinunciare addirittura alla ricandidatura. Se nel 2012 i socialisti erano la principale forza politica adesso sono sprofondati sotto il 7 per cento.
Per l’Italia, come scrive un autorevole commentatore, i risultati delle elezioni del 4 marzo scorso sono attribuibili all’imporsi negli elettori di «tre sentimenti fondamentali, insorti nel corso degli ultimi decenni, ma radicalizzatisi durante la grande depressione dei nostri anni: paura, sofferenza e rabbia».
La rabbia, fattore comune che consolida gli altri due sentimenti «scaricandosi sull’establishment, sui governi, sui partiti, sulle istituzioni nazionali ed europee che ne sono espressione», ha coinvolto direttamente il Partito democratico e Liberi e Uguali, forze politiche «contingentemente divise e ostili, ma intrinsecamente omologhe, fortemente identificate con l’establishment governativo e con le classi medio-alte». Formazioni politiche ormai «totalmente estranee alla tradizionale classe gardée della sinistra, prive di una dimensione comunitaria e di un insediamento territoriale significativo se si esclude una ridotta elettorale nel centro del Paese». «Ridotta elettorale» evaporata a queste ultime elezioni amministrative, con la messa fuori gioco, in molte città del Nord-ovest, in Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria, dove si sono più che dimezzati i comuni in mano al centrosinistra, collezionando sconfitte in alcune città-simbolo, come Imola, Pisa, Siena, Massa e Terni.
In proposito, c’è chi parla di sconfitta «tridimensionale» della sinistra «in quanto economica, politica e culturale». Il Novecento, con tutte le sue conseguenze, è ormai tramontato e, anzi, per una nemesi della storia, sembra riaffacciarsi dall’inizio. Noi sappiamo però che il Novecento non si riaffaccia, siamo noi che – privi di orientamento – cerchiamo con le analogie di costruirci un sistema di riferimento, perché – in assenza di nuove categorie d’analisi – nella notte della sinistra tutti i gatti sono bigi.
Per queste ragioni, l’affanno – pur comprensibile – di esserci, di restare sulla scena, di occupare uno spazio (anche se residuale) nel panorama politico, di mantenere una visibilità, è destinato, almeno nell’immediato, a non dare frutti.
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