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23 Maggio 2018 - 10:17
Silvio Pellico ottenne un grande successo la sera del 18 agosto 1815 quando venne rappresentata a Milano per la prima volta la nota e tragica vicenda di “Paolo e Francesca” che sulla scena venne interpretata da Carlotta Marchionni (per la sorella di questa il Pellico nutrì una grande passione a stento ostacolata dai familiari).
Tradizione, patria, romanticismo e accenni non sempre velati di patriottismo decretarono un successo straordinario dell’opera, sicuramente una delle più acclamate del tempo e la figura di Francesca segna la rinascita, in Italia, di uno dei più popolari archetipi di poesia romantica, quello improntato sul binomio virtù-sfortuna. L’originalità dello scrittore saluzzese consisteva nel mediare i due termini sottolineando morbidamente il motivo della tentazione, della lotta contro le insidie del peccato, tema che si troverà anche ne “Le mie Prigioni”.
Dove Silvio Pellico pensò e scrisse “La Francesca da Rimini” non sono in molti a saperlo. Ripercorriamo a grandi linee la sua vita.
Nasce a Saluzzo il 24 giugno 1789 e riceve insieme ai quattro fratelli un’educazione cattolica. Dopo gli studi si reca in Francia per fare pratica nel settore commerciale con lo zio. Al rientro in Italia, nel 1809, si stabilisce con la famiglia a Milano, qui trova lavoro come insegnante di francese presso il Collegio Militare. Giovane entusiasta della poesia neoclassica comincia a scrivere, specialmente per il teatro, tragedie in versi di impianto neoclassico.
Riscuote un notevole successo nei “Salotti Letterari” e viene descritto “Di modi gentilissimi, ingegno pronto e vivace e una cultura estrema”. Fu molto amico di Vincenzo Monti ma la sua predilezione andò sempre per Ugo Foscolo, un personaggio per il quale il Pellico aveva un’ammirazione sconsiderata, sia come uomo che come scrittore.
In questi circoli però venivano soprattutto sviluppate idee tendenzialmente liberali e rivolte alla possibilità di una indipendenza nazionale, mirando a eliminare l’influenza francese e a evitare il dominio austriaco.
Nel trasformare naturalmente queste iniziative culturali in movimenti “Carbonari” i pericoli si fecero concreti.
Fu così che Silvio Pellico decise di alternare le attività milanesi con frequenti e lunghi viaggi in Piemonte, sua regione d’origine.
Egli con quel peregrinare ripercorreva l’esilio dantesco, imitando un autore che amava e in cui si identificava.
Nel 1813 trascorre un periodo nel castello di Murisengo ospite del Marchese Don Carlo Guasco di Bisio, suo amico.
Il castello è in rovina e forse quell’ambiente tetro e malinconico gli ispirano “La Francesca da Rimini” che immediatamente scrive e diventerà un grande successo teatrale.
A testimonianza della sua presenza nel castello vi è una lapide commemorativa fatta erigere dai parenti del marchese.
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