Sabato 7 aprile Palazzo Carignano a Torino ha portato in scena lo spettacolo enologico dell’anno: BA&BA, Barolo e Barbaresco, due nomi che fan tremare i polsi e non solo per la gradazione alcolica. L’immagine del Piemonte è indissolubilmente legata, in Italia e all’estero, a questi due mostri sacri dell’enotecnica; a qualunque latitudine ci si trovi, pronunciare il nome di uno dei due evoca la nostra regione, cosi come quando dici rosso corse e nella tua mente spunta la silhouette di una Ferrari. All’ingresso dell’esposizione un quartetto d’archi crea atmosfera, poi tra i dipinti delle battaglie risorgimentali del Palazzo un fiume di velluti rossi si snoda a perdita d’occhio: sono i Baroli e i Barbareschi di circa centoventi produttori piemontesi, principalmente annate 2014 e 2015, anche se qua e là sbuca qualche vecchietto più stagionato, del 2012 o anche 2011. L’affluenza è massiccia, un popolo di degustatori in cui salta all’occhio la presenza di molti giovani, nonostante le statistiche nazionali sul consumo di vino rivelino che la fascia più interessata sia quella dei più maturi. Lungo il circuito si fanno notare nomi altisonanti e storici della produzione del “re dei vini o vino da re”, ma non mancano etichette meno conosciute eppure dal prodotto eccellente, come quella di Paolo Manzone di Serralunga d’Alba. Il denominatore comune di tutti comunque è passione e voglia di comunicare, far conoscere, educare, senza arroganza, per trasmettere all’eventuale bevitore di passaggio la consapevolezza di cosa sta per assaporare, un attimo fuggente per il palato ma il frutto di minimo tre anni di affinamento per il Barbaresco e quattro anni per il Barolo, insieme ad una tradizione coltivata con dedizione quasi monastica che richiama compratori da tutto il mondo. Faccio qualche domanda in giro e vien fuori che mediamente circa il settanta, ottanta percento del vino prodotto trova sbocco fuori dai nostri confini, Europa ma anche Stati Uniti ed Estremo Oriente. Comincio a chiedermi la ragione di tale squilibrio, la risposta più convincente mi viene data da Manuela Rivetti, responsabile del mercato italiano dell’azienda “La Spinetta” di Castagnole Lanze, fondata dai nonni paterni nel 1977 e che oggi sforna mezzo milione di bottiglie all’anno (non solo Barolo e Barbaresco ma anche Arneis, Dolcetto e altri): “Forse gli stranieri sono ancora in grado di emozionarsi...” Non a caso la lingua della pagina web dell'azienda è l'inglese. Uscendo da Palazzo Carignano la testa è un po’ stravagante e sognante, sembra di aver bevuto un pezzo di storia.
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