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Potere al ... popolo!?!

Potere al ... popolo!?!
Potere al popolo. Nel senso che il potere appartiene al popolo che “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La esercita perché il termine della Carta è sovranità e non potere. Concetti sovrapponibili nell'immaginario collettivo anche se non sinonimi perfetti. Le differenze sono rilevanti, ad esempio il potere è maschile, mentre la sovranità è femminile, apparentemente un dettaglio ma in realtà non cosa di poco conto, ma ne parleremo un’altra volta. Quel che ci interessa oggi è “la esercita”. Infatti, mancano pochi giorni al voto per elezioni politiche, cioè uno degli “esercizi“ per antonomasia (non l’unico) al fine di rendere effettivo e reale il disposto costituzionale. E’ necessario fare molto allenamento per arrivare preparati all'”esercizio”. Bisogna leggere, ascoltare, informarsi, partecipare e poi ancora capire, ri-leggere, confrontare, ri-ascoltare. Insomma una gran fatica. Del resto, si tratta di mandare in Parlamento un migliaio di cittadini a rappresentare tutti gli altri. Mica facile. Roba da far tremare i polsi. Al contrario, spesso ci si dimentica, rappresentati e rappresentanti, della sacralità laica di quel luogo, che dovrebbe indurre i primi a scegliere con accuratezza, ed i secondi ad adempiere con disciplina ed onore il mandato ricevuto. Ora, la storia d’Italia ci insegna come tali prerogative siano state disattese, più di qualche volta, sia dagli uni che dagli altri, al punto che possiamo affermare senza ombra di smentita che oggi la legalità non è un valore condiviso. Dovrebbe essere, come ha detto qualcuno, una condizione pre-politica. Condizione venuta a mancare, nel corso degli anni, non solo per i numerosi inquisiti e/o condannati candidati e/o seduti in Parlamento, a destra come a sinistra, ma anche, e forse soprattutto, per i numerosi cittadini che li hanno votati. La prova del nove è che i temi di mafia e corruzione, come ha osservato qualcun altro, sono non-temi da campagna elettorale, non portano voti. Non solo per questi motivi, la scelta del 4 marzo risulta difficile, almeno per me elettore di centro sinistra (con e senza trattino) che non considera (e non ha mai preso in considerazione) le coalizioni di centro destra, ancor più di ieri segnate dai soliti rigurgiti razzisti della Lega e dagli interessi e malaffari di Berlusconi. Che fare? A sentire Travaglio dovremmo lasciar provare i cinque stelle, anche se hanno commesso qualche errore nelle candidature. Anche perché (e come dargli torto) “se quelli che li avversano fossero stati così competenti, i 5 Stelle non sarebbero mai nati". Oppure non rasenterebbero il 30%, aggiungo io. E’ vero, quello al Movimento sarebbe un voto logico (anche se con mille se) per tenere lontano un altro patto del Nazareno o come lo vorranno chiamare, se non addirittura un governo di solo centro-destra. Tuttavia, le speranze e le aspettative del 2008 erano altre (anche per ammissione di tanti delusi della prima ora). La pericolosa deriva destrorsa, l’inadeguatezza ed incompetenza di molti candidati, la completa assenza di un minimo di senso delle istituzioni, sommati alla supponenza di chi del vivere comune non si è mai occupato e si erge a statista di rango non sono presupposti per costruire una nuova classe dirigente. L’additata malapolitica degli affaristi, piduisti e tragattini non si combatte con l’improvvisazione, candidando al grido onestà “la qualunque” abbia un po’ di seguito sui social, condito da qualche furbetto tra mancate restituzioni e mega-rimborsi spese. Non sono da meno i delusi tra quelli che hanno visto le mutazioni dal Partito Comunista al Partito Democratico, nella filiera PC-PDS-DS-PD, sono andate perdute le lettere C e S. Rispettivamente Comunista e Sinistra. Comunista e Sinistra erano qualcosa di più che due semplici aggettivi qualificanti un partito. Erano l’identità forte e l’anima riconoscibile di un modo, non solo di fare politica, ma di intendere la realtà, di interpretare le istanze ed i bisogni delle persone. E quando le perdi, oltre rischiare di perdere le elezioni, perdi qualcosa di molto più importante, il Paese. Ora, seppur parziale, l’Ulivo di Prodi fu un tentativo di sintesi per andare avanti, e oltre ad essere una buona idea, funzionò anche elettoralmente. E infatti venne subito affossato, facendo prevalere i personalismi interni. Gli stessi che prevalgono oggi e che hanno portato alla situazione attuale, dove anziché ripartire dai territori per rinnovare facce e contenuti, vecchi e nuovi leader (che però parlano la stessa lingua) si sono garantiti il mantenimento delle posizioni. Che fare? Potere al …popolo!?!
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