Prendendo spunto e parafrasando il mio “amico personale” Daniele Luttazzi sulla cena di solidarietà nella Galleria di Diana della Reggia, lo scorso 13 dicembre, ho tutta una serie di riserve che riguardano il Cosa e il Come. Spunti per una riflessione, niente di più: il tema è delicato, avanzare dei dubbi verso un’iniziativa benefica è sempre un azzardo. In casi come questi le voci fuori dal coro sono mal sopportate. Il rischio è quello di far la parte del grillo (con g minuscola) parlante, per non parlare di quelli saranno tentati di strumentalizzare l’articolo di chi ha sempre da ridire su tutto, anche sulle cose fatte a fin di bene. L'alternativa è starsene zitti, avallando in qualche modo tutto quello che è avvenuto, e questo proprio non mi va, perché non tutto è condivisibile. Quindi correrò il rischio…. Il cosa. Il gruppo della Fratellanza della Parrocchia di Natività di Maria Vergine organizza ormai da diversi mesi il pranzo della solidarietà. Il ricavato va a sostegno delle attività parrocchiali e di iniziative solidaristiche. Una bella e collaudata esperienza di volontari che si mettono a servizio di una causa sociale che è cresciuta con il passare del tempo. L’assessore alla cultura D’Afflitto ottiene la Galleria di Diana per organizzare la stessa iniziativa ma in una location unica, la Reggia: molti più posti a sedere e la possibilità di far partecipare persone (costo della cena 7 euro) che altrimenti alla Reggia non sarebbero mai andate. Il ricavato sempre in beneficenza, pare siano stati raccolti quasi 5mila euro da destinarsi alle Parrocchie e alle Caritas. Fin qui, tutto bene, un’iniziativa come tante. Qual è il problema? Il problema riguarda il “come”. Il come è stata promossa l’iniziativa ha cambiato la natura del “cosa”. Infatti, l’iniziativa ha perso il suo carattere di sobrietà (per quanto mi riguarda tratto distintivo del fare volontariato) ed è stata trasformata in un “evento”, con tanto di luci della ribalta e social accesi. Questo lo hanno capito gli stessi organizzatori, coinvolti loro malgrado in un circo mediatico oltremisura. E così l’assessore D’Afflitto ha potuto ancora una volta vantare i meriti dell’evento che ha ispirato, che come tale è stato vissuto, sia nella sua fase promozionale: quando i posti già erano esauriti, è proseguita la campagna su Facebook; durante l’evento stesso: il reportage in diretta social è stato ininterrotto; ed infine la rassegna stampa successiva all'evento” con i titoli di giornale. E’ sembrato davvero che la cosa più importante fossero i giusti riflettori puntati sull'evento e non le finalità dell’evento in sé. Non è il caso di scomodare il priore di Barbiana quando diceva “fai strada ai poveri, senza farti strada”, tuttavia quello che abbiamo visto è un uso distorto della solidarietà, utilizzata a vantaggio della propria immagine. Altrimenti a qualcuno sarebbe venuto in mente che per quelle finalità gli strumenti a disposizione di un’Amministrazione sono altri e si chiamano “politiche attive a favore di”. Esiste un sistema di welfare locale che può essere implementato magari prevedendo fondi per le Caritas cittadine (destinando una parte di quei 50 mila utilizzati dall'assessore per manifestazioni e luci natalizie), magari prevedendo il coinvolgimento delle parrocchie e/o dell’associazionismo in interventi per i più bisognosi. E’ un lavoro più faticoso, molto spesso silenzioso, lontano dai riflettori che dà soddisfazioni (a volte) nel medio-lungo periodo, perché costruire percorsi di prossimità e reciprocità per le comunità richiede tempo. Infatti, c’è una bella differenza tra fare l’amministratore e fare l’organizzatore di eventi, peraltro spacciati come surrogato di politiche sociali. Ed è proprio questo l’elemento tragi-comico di questa amministrazione, incarnata dall'assessore che governa l’agire sociale e culturale: l’assoluto vuoto di proposta politica, sostituita dal “mettere il cappello” sulle iniziative già presenti sul territorio, di cui ci si appropria implicitamente perché rivendute alla città come politiche pubbliche. La solidarietà, scriveva Rodotà nel suo libro, è un’utopia necessaria per i nostri complicati sistemi sociali, ed è cosa troppo seria per lasciarla in mano agli organizzatori di eventi.
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