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03 Ottobre 2017 - 11:03
viktor orban
I mass-media hanno enfatizzato l’affermazione senza precedenti di Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania), nelle ultime elezioni tedesche. La forza politica, il cui merito è contenere già nel nome il suo programma, è la terza per numero di seggi al Bundestag, rendendo la Germania più simile agli altri Paesi europei in fatto d’instabilità. Definita xenofoba, nazionalista e sovranista – nuovo termine per indicare «la difesa o la riconquista della sovranità nazionale in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione» (Treccani) – l’Alternative è un fenomeno nuovo, ma non nuovissimo: alle elezioni politiche del 2013 non aveva superato lo sbarramento del 5 per cento, però ha cominciato ad affermarsi alle elezioni europee e regionali in Sassonia e in Turingia, attestandosi attorno al 10 per cento dei consensi.
Niente male per un partito così giovane, il cui successo è da ricercarsi nelle sue parole d’ordine maledettamente vecchie, che diventano la risposta alle delusioni di coloro che sentono (e sono) in basso nella scala sociale. Le analisi del voto indicano che Alternative ha sottratto più di un milione di voti al partito della Merkel, 500 mila ai socialdemocratici, altrettanto a Die Linke, mentre più di un milione provengono dall’astensionismo.
Gli elettori di questo partito sono soprattutto maschi operai, intorno ai 40 anni, residenti nella Germania orientale, con un livello d’istruzione medio-basso, astensionisti alle scorse elezioni e che, a quelle precedenti, avevano votato la cancelliera Merkel. Solo un voto di protesta contro le politiche dei partiti tradizionali, dunque?
Questa è la tesi rassicurante, offerta da molti mass-media, che in sé contiene anche il rimedio: chiusura delle frontiere, politica securitaria, eccetera. Infatti la cancelliera si è affrettata ad affermare che, pur se giusta la scelta di apertura delle frontiere nel 2005, «non siamo riusciti ancora a rimuovere del tutto le preoccupazioni delle persone: ci sono questioni sul fronte dell’integrazione che dobbiamo risolvere, continuiamo ad avere l’immigrazione illegale, che dobbiamo ridurre, e la difesa dei confini esterni non è ancora così come dovrebbe essere».
L’onda della destra nazionalista e xenofoba è già una marea nera che monta in Europa: dall’Est, con il governo ungherese dell’ultraconservatore Viktor Orban e il presidente polacco Andrzej Duda, espressione di un partito di estrema destra; al Nord, in Svezia, con i Democratici Svedesi, nati nel 1998 e cresciuti fino a raggiungere il 13 per cento nelle elezioni del 2014; in Finlandia, dove l’estrema destra siede tra banchi di governo; in Danimarca, dove il Partito del Popolo è il secondo partito del Paese.
In Grecia, nel 2015, Alba Dorata è passata al 7 per cento, riuscendo a far eleggere in parlamento 18 deputati; nelle scorse elezioni presidenziali, in Francia si è affermato il Front National con il 21 per cento.
E in Italia? Wikipedia alla voce «estrema destra» annovera sei formazioni politiche attive tra le quali Forza Nuova, otto formazioni minori, e otto partiti disciolti, tra i quali Ordine Nuovo e Terza Posizione.
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