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25 Luglio 2017 - 11:46
Francesco Gioffrè al momento dell'arresto manda un bacio ai suoi familiari
Non esiste un locale di ‘ndrangheta a Chivasso che fa capo ai Gioffrè, agli Ilacqua e a Guerra. E’ quanto ha stabilito la scorsa settimana il tribunale del riesame di Torino in merito alla posizione degli undici arrestati dell’operazione “Panamera”.
Cade per gli indagati l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416bis) mentre restano in capo degli arrestati, alcuni dei quali già in libertà, le accuse a vario titolo di tentato omicidio, usura, estorsione, rapina, danneggiamento, incendio, detenzione illegale di armi e munizioni.
“Il pronunciamento del tribunale del riesame - spiega l’avvocato Salvo Lo Greco, del pool della difesa - ridimensiona l’operazione: si tratta pur sempre di azioni criminali, ma non messe in atto allo scopo di sostenere l’affermazione di un’organizzazione che, s’è visto, non esiste”.
Come avevamo ipotizzato due settimane fa dalle colonne di questo giornale, la presunta organizzazione non c’è: non s’è trovata la prova di quanti e quali collegamenti ci fossero con l’organizzazione vera e propria, quella, per intenderci, che aveva portato agli arresti di “Minotauro” e “Colpo di coda”.
“Quando si parla di ‘ndrangheta e di locali di ‘ndrangheta. Di Mafia, di Camorra o di Sacra Corona Unita, c’è una cosa che non sempre viene sottolineata a sufficienza, ma che sta alla base di tutte le operazioni di polizia compiute dal 1982 in avanti con l’entrata in vigore dell’articolo 416 bis del codice penale. Per far scattare le misure cautelari, gli arresti o arrivare ad una sentenza di condanna, è sufficiente fornire al giudice la prova di “appartenenza” all’organizzazione del soggetto incriminato, che in questo caso non s’è trovata.
Con il pronunciamento del tribunale del riesame, restano perciò solo i “fatti di cronaca”, che ci sono e sono pure ben dettagliati.
Si comincia con gli agguati e gli spari di avvertimento ad alcuni negozi e si finisce con le auto incendiate nei cortili di alcune concessionari auto. Nell’ordinanza si legge di tutto e di più. Per esempio le minacce ad uno che si rifiuta di prestare 5 euro (avete capito bene) ma anche di quelle subite da un barista di Chivasso che avrebbe dovuto assumere la parente di uno della famiglia. E si legge anche che questi qui, più che aspettare le navi cargo dalla Colombia e poi invadere il territorio di cocaina purissima, passavano il tempo a minacciare e a derubare, sempre con in mano la pistola, alcuni pusher di Torino (dei poveracci) dai quali si facevano consegnare 10, 12, 15 dosi alla volta, oltre che gli incassi della serata.
Nei guai restano Domenico e Francesco Gioffrè, 31 e 35 anni, di Chivasso, Antonio Guerra, 38 anni, di Settimo Torinese, Domenico, Francesco e Luciano Ilacqua, 60, 38 e 29 anni, di Chivasso, Giovanni Mirai, 40 anni, di Torino, Carmine Volpe, 54 anni, di Chivasso, Francesco Grosso, 39 anni, di Chivasso, Salvatore Calò, 47 anni, di Chivasso e Valentino Amantea di Verolengo.
Insomma non appartenevano ad alcuna organizzazione, ma si sono dati un bel da fare per affermarsi, nell’estate 2012, sulla scena criminale chivassese...
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