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SETTIMO TORINESE. Un’Amica

SETTIMO TORINESE. Un’Amica

Concetta Candido, resisti

Sono incredulo. E arrabbiato. Concetta Candido è una di noi, parrocchia, teatro, quartiere, la conosciamo da sempre, le nostre famiglie si sono frequentate, noi ci siamo frequentati.

Saperla esasperata e ferita, fa male.

Qui però, non si tratta di un dramma familiare o di solitudine, ma di lavoro, una roba che oggi non sappiamo più cos’è, se c’è, se ci sarà. E quando uno non sa se domani lavorerà, vive male. Siamo nel tempo dei contratti a tempo, voucher, lavoro a chiamata, marchingegni a orologeria che rasentano la schiavitù e sono i padri della crisi, non c’è bisogno di grandi economisti per trarre le conclusioni: chi non lavora, o lavora poco e male, non spende, non compra, e se a non spendere niente sono tanti, aumentano coloro che non lavorano, perché che cazzo lavorano a fare se nessuno acquista quello che fanno? L’economia funziona se tutti hanno accesso a un po’ di benessere e il benessere arriva dal lavoro che a sua volta disegna e interpreta la dignità di ogni persona. Se la bilancia è squilibrata, come oggi, a favore della sola impresa, chi lavora rischia di restare indietro. Qualcuno non ce la fa, questa volta è toccato a una cara amica.  Il nostro è un paese nel quale i nostri nonni e genitori, con la quinta elementare, hanno vissuto meglio di noi, senza quell’affanno che prende alla gola ogni volta che il lavoro, in un modo o nell’altro, gira le spalle. Nei paesi civili e seri, chi perde l’impiego viene immediatamente aiutato a trovarne un altro. Da noi, oggi, se va bene e sei bravo a chiederla, arriva un po’ di elemosina e la vicenda di Concetta mi convince sempre più della necessità di strappare il Paese dalle mani degli incapaci che negli ultimi vent’anni lo hanno ridotto al nulla sociale che siamo.

Concludo con un invito alla speranza. Anni fa, con gli amici di Alta Tensione Teatro, abbiamo portato in scena una parodia dell’impresa dei Mille. Concetta Candido recitava la parte della Regina Elena, io quella di Vittorio Emanuele II, succube della consorte come nella realtà. La scena prevedeva scapaccioni a ripetizione ma, da dilettanti, non ci venivano bene. Siamo quindi passati a quelli veri e vi lascio immaginare! Dai Concetta, ti aspettiamo. Magari a teatro. È finzione, d’accordo, ma quantomeno ricominciamo da un sorriso.

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