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PONT CANAVESE. Momenti di vento di Marino Pasqualon

PONT CANAVESE. Momenti di vento di Marino Pasqualon

S’intitola “Momenti di Vento” il libro di poesie pubblicato dal giornalista pontese Marino Pasqualone e presentato venerdì 3 dicembre in sala consiliare. A leggere i versi più rappresentativi della raccolta – ed a commentarli insieme all’autore - c’era  l’attore e regista frassinettese Alberto Giovannini Luca, che ancora una volta ha dimostrato tutta la sua bravura d’interprete. Era invece assente alla serata un altro scrittore canavesano, che ha dato una mano ad impaginare il volume e che per primo lo ha messo in vendita nella cartolibreria che gestisce a Sparone: Elio Blessent.  

Il libro raccoglie versi scritti in quasi quarant’anni, collegati da tre fili conduttori. Uno è l’Amore: quello lacerante delle storie impossibili e dei sentimenti non ricambiati; quello gratificante per la moglie Daniela, a cui il volume è dedicato. L’altro filo conduttore è la terra in cui è nato ed in cui vive: Pont e le vallate che lo circondano, per lui fonte costante di emozioni e di dolore. L’amore per la natura e per il paesaggio così com’era stato modellato dall’uomo nel corso dei secoli trova il suo contraltare nel dolore per le devastazioni e l’abbandono che ne hanno cambiato e continuano a cambiarne il volto. Il libro si apre infatti con una lettera scrittagli nel 1991 dall’amico Adris, un non-pontese che aveva “adottato Pont e la sua gente, amando questo paese più di noi che ci siamo nati e che non lo apprezziamo abbastanza”.

Poi la nostalgia degli anni lontani ed il confronto con la tristezza del presente. Essere “un ragazzo del ’59” - come si definisce - significa aver vissuto una giovinezza di entusiasmo e di speranze, ora sostituiti da disinganno e delusione. Nella poesia di apertura si rivolge  ai “Ragazzi di ieri”: “Siamo morti viventi/ siamo ombre sui muri. Il mio mondo è scomparso/inghiottito dal tempo”. 

Fra i testi che gli sono più cari vi è “Wounded Knee”, che ricorda la strage di Nativi americani compiuta nel 1890 dalle truppe statunitensi: “E’ la metafora della fine di una civiltà. Ci vedo un’assonanza con quanto è accaduto negli ultimi decenni sulle nostre montagne, dove non sono avvenuti massacri ma dove tutto è cambiato”. 

Due poesie – sommesse e struggenti - sono invece dedicate alle persone care perdute troppo presto, come suo padre o il cugino Roberto, morto a vent’anni precipitando in un dirupo.

Nella maggior parte delle sue composizioni c’è più passato che futuro e prevale il pessimismo. “E’ vero che non si vive di ricordi – ha spiegato l’autore – ma è altrettanto vero che, se ci sono, è perché abbiamo vissuto situazioni che, nel bene e nel male, hanno segnato la nostra esistenza in modo indelebile”

All’intensità delle emozioni si ricollega il tema del Vento, che ricorre di frequente ed in situazioni e stati d’animo molto diversi tra loro. “Il vento – dice – è da intendersi soprattutto in senso metaforico, come l’elemento che va a scompigliare le nostre certezze, la nostra quotidianità, e ci fa capire che la vita, alla fin fine, è un insieme di attimi”. 

A chi gli fa rilevare l’eccessivo pessimismo dei suoi versi, l’autore risponde con una battuta scanzonata quanto realista: “Perché quand’ero felice facevo altro!”.

Tra le sue fonti d’ispirazione indica più i cantautori che i poeti: “De André ma soprattutto Vecchioni, il mio preferito. La mia generazione si è nutrita dei loro testi”. 

Non sono contenuti nel libro ma sono stati letti durante la presentazione i versi di “Luci nella Notte”, dedicati a “Mecio del Berchiotto”, l’ultimo abitante dell’omonima borgata frassinettese, che  nelle sere d’estate si sedeva su un poggio panoramico e contava le luci accendersi nelle varie frazioni. Ogni tanto ne veniva a mancare una: la lampadina si era bruciata e nessuno l’avrebbe sostituita perché non serviva più.

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