Il problema dei saraceni in Piemonte, va inserito nel più vasto quadro del disfacimento dell'impero carolingio. Finita la politica di Carlo Magno, nell'877, con la deposizione di Carlo il Grosso, si inizia un lungo e tormentato periodo di lotte tra i vari signori. L'unità si perde, le frontiere sono aperte alle scorrerie saracene, ungare e normanne. I saraceni non sono una novità, il loro nome è sinonimo di razzia. Originari di una tribù semitica della penisola del Sinai, stanziata nei pressi del golfo di Aqaba, dediti al nomadismo e al saccheggio, sono da tempo in lotta con l'autorità bizantina. Nelle cronache compaiono frequentamente con il termine di "mori", per essere originari, almeno im partre, dal Magreb, in senso dotto vengono spesso designati "l'impia gens saracinorum". nel 729 i saraceni saccheggiano e dannezziano Nizza, nel 737 Avignone ed estendendo le devastazione fino a Lione e all'Aqitania, un 'altra incursione è segnalata due anni dopo, poi le razzie si spostano, vanamente contrastare, verso la Sicilia, nell'806 cade Pantelleria, la Corsica e la Sardegna, finchè nell'846 settanta navigli saraceni attaccano Ostia e Porto, risalgono il Tevere e devastano la regione sino alle mura di Roma, profanando la Chiesa di San Pietro. Nell'842 compaiono nuovamente in Provenza: sono una minaccia costante, lo rivela una lettera di Papa Giovanni VII, il quale scrivendo a Carlo il Calvo, riporta a proposito delle loro violenze: "beate le donne sterili". Nel 904, o forse già l'anno precedente, si segnala la prima penetrazione in Piemonte. Chiamati, pare, dall'abate di Pedona, l'attuale Borgo San Dalmazzo, in lotta con il vescovo di Asti, Eilulfo o Bernolfo. Il vescovo sarebbe stato trucidato nel maggio del 904 sulle sponde del torrente Pogliola, tra Mondovì e Villanova, dove si trova la cappella di San Bernolfo. Quanto ai monaci di Pedona fuggono abbandonando la chiesa e la tomba del martire. Sarà in seguito opera di Audace, vescovo di Asti, e non dei monaci , il recupero e la traslazione delle reliquie del Santo a Quargneto, forse un priorato dello stesso monastero. San Romolo, vescovo di Genova, a proposito della stessa incursione afferma che i saraceni, superate le Alpi, dopo aver distrutto tutto al di qua e al di là dei monti, "sradicarono poco dopo dalle fondamenta" la città di Forfìce, che sorgeva nei boschi presso Peveragno. Tragica la sorte dell'abbazia della Novalesa. Alle prime notizie del sopraggiungere l'abate Donniverto raduna i monaci per decidere sul da farsi, ma si rivela incapace di prendere una decisione. Sentenzia che ognuno prenda la strada che vuole e si salvi come può. Attorno a Donniverto , che intende rifugiarsi a Torino, si raccoglie un folto gruppo di monaci, forse la maggioranza. Otto carri colmi di oggetti preziosi, manoscritti, arredi, pergamene e codici, prendono la strada per Torino. All'abbazia nonm restano che due monaci, Giusto e Flaviano. All'apprrossimarsi delle bande si rifugiano nella grotta dell'Arbour presso Chateau-Beaulard, nell'alta valle della Dora Riparia. Più tardi, pentiti per la fuga, scendono da Oulx ed affrontano il martirio. Ancora oggi qua e là rimangono testimonianze della toponomastica: "La Caverna dei Saraceni", presso Ormea; La "Torre dei Saraceni", nei dintorni di Garessio, e nel corso del secolo molte ragazze e ragazzi, della Valle del Tanaro, vengono deportati come schiavi e destinati ai mercati spagnoli. Anmcor oggi, infatti, presso Garressio, il passo verso la Liguria, attraverso cui venivano tradotti quegli infelici, è detto "Bricco o Passo dello Schiavo". Non raramente li troviamo in località poste attorno ai duemila metri di altitudine, "vere capre", come vengono definiti da un monaco di San Gallo. Nel 945 i saraceni penetrano nuovamente in Piemonte e si spingono fino a Cavour, assaltano l'abbazia di San Mauro, presso Torino e nel saluzzese, distruggendo il castello di Auriate, l'attuale Caraglio, inoltre devastano i castelli di Pulcherada, Macigno e Albareto. Il vercellese è ancora saccheggiato tra il 960 e il 970. A determinare finalmente la cacciata dei saraceni, sul nostro versante delle Alpi furono Oberto I di Lunigiana, Aleramo di Monferrato, i conti di Vienne e il marchese di Torino, Arduino Glabrione. Tutti sono a capo della lotta antisaracena. In particolare si segnala Arduino, che risale le valli del Pellice, del Chisone e diSusa, prendendo di spalle i saraceni. La lotta è condotta in un vasto campo, in condizioni simili a quelle delle moderne guerriglie. Soltanto in Torino si ha una spiacevole conseguenza. In un tentativo di fuga, alcuni saraceni, imprigionati in unaa torre nei pressi di porta Secusina, incendiano la vicina chiesa di Sant'Andrea.
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