Almeno questa volta Renzi deve aver avere avuto ragione: nei ballottaggi si riparte dallo zero a zero. Forse l’ha detto per esorcizzare la paura, o forse per mettere le mani avanti, o forse ci crede davvero. Come si dice in questi casi, le probabilità che il secondo della partita si chiuda con un 4 a 0 “regolare” sono poche ma il rischio che si corre è assai elevato. Napoli è andata, per Roma manca poco, ma se anche da Milano, e soprattutto da Torino, dovessero arrivare brutte notizie, il risvolto politico del voto amministrativo sarebbe del tutto evidente. La scelta di un governo locale dovrebbe essere indipendente (naturale che ci sia un attinenza relativa) dalla politica nazionale, anche se riguarda le grandi città. Parimenti, l’esito di un referendum costituzionale non dovrebbe essere legato, e collegato, alla permanenza di un governo (un conto è riscrivere le regole che riguardano tutti, un altro è l’azione governativa e legislativa ordinaria). Eppure, proprio l’atteggiamento del premier ha contribuito a generare una confusione che non avrebbe dovuto esserci, quando ha deciso, bontà sua, di mettere la fiducia del suo governo sul referendum d’autunno (negli ultimi giorni ha dipinto inverosimili scenari apocalittici dovesse vincere il NO), mentre al contrario, ha deciso, bontà sua, che le amministrative non dovevano avere un risvolto politico. Insomma ha deciso lui, con il ghigno e la supponenza di sempre. Le cose poi sono andate diversamente, più di qualcuno (evidentemente) ha deciso che preferiva decidere autonomamente che cosa doveva avere valenza politica e cosa no. E così, alla prima occasione utile (le elezioni amministrative) ha votato contro, com’era presumibile a Napoli e Roma, un po’ meno a Milano e Torino. Oggi la partita è esclusivamente sua scala nazionale, con sullo sfondo l’obiettivo fatto di malcelate pseudo-alleanze, neanche troppo mascherate, di un PD che perde in tutte e 4 le città. E paradossalmente proprio da Torino, una città dove il centro non ha fallito come Roma, anzi tutt’altro, potrebbe arrivare una sorpresa inaspettata. Il profilo pacato scelto dall’Appendino ha pagato; vedremo quanto peseranno i voti di leghisti e pezzi del centro destra torinesi. Poi, come sappiamo bene a Venaria, governare è più complesso del proclamare in campagna elettorale. L’Appendino ha detto di voler ridurre, in caso di vittoria, le indennità delle giunta. A Venaria le giunta pentastellata ha fatto esattamente il contrario: aveva ereditato delle indennità ridotte e le ha aumentate. Anche la trasparenza, cavallo di battaglia (giustamente) dell’aspirante sindaco, a Venaria con l’affaire Fondazione Via Maestra è andata fuori moda. Non ultimo, pare che il neo presidente della Fondazione e il commercialista dell’assessore alla cultura siano la stessa persona. Ma io non ci credo…. deve essere un caso di omonimia, c’è ne son tanti….. E poi i “grillini” queste cose non le fanno.
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