Fusione tra Comuni. Da qualche tempo stanno lavorando su questo progetto due associazioni. Identità Comune nel chivassese e Amiunacittà nell’eporediese. Obiettivo dichiarato la realizzazione di “Comunità” di 100/150 mila abitanti, derivanti dall’accorpamento dei Comuni di popolazione inferiore. In tal modo le attuali 8.000 amministrazioni comunali italiane si ridurrebbero a sole 500 “Comunità”. In questa prospettiva, nel chivassese (ma steso discorso si può fare nell’eporediese) Identità Comune scaglia un furioso attacco ai piccoli Comuni. Citiamo dal libro Democrazia a KM0 di Tomas Carini. A proposito delle tante, a suo giudizio troppe, amministrazioni comunali l’autore scrive: “Farle cadere è il primo passo per riappropriarsi della democrazia”. Le 500 Comunità sarebbero addirittura “l’unica speranza per salvare l’Italia”. Manca poco all’appello a radere al suolo a cannonate Foglizzo, Mazzé, Vische, Brosso, Montalenghe, Traversella, Trausella ed Alpette ... Ma è proprio vero che per salvare la democrazia bisogna sopprimere i piccoli Comuni? Tutto il pensiero politico democratico occidentale manifesta una convinzione completamente contraria: la piccola città, il piccolo Comune, sono i luoghi nei quali meglio può realmente venire esercitata la democrazia e praticata la partecipazione dei cittadini. La “polis greca”, principalmente l’Atene periclea, nell’immagine che ne è stata tramandata, è considerata la culla della democrazia. Basta ricordare il celebre discorso di Pericle riferito da Tucidide. O pensare all’ideale della democrazia diretta di Rousseau, un ideale che può realizzarsi soltanto in una dimensione così piccola da consentire a tutti i cittadini con diritto di voto di riunirsi nella pubblica piazza per deliberare. Nell’Ottocento il francese Tocqueville, ammiratore della democrazia nordamericana, esalta il piccolo Comune, la piccola e semplice realtà che consente la partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica e stimola la formazione dello spirito civico: “proprio nel comune risiede la forza dei popoli liberi. Le istituzioni comunali sono per la libertà quello che le scuole elementari sono per la scienza: esse la mettono alla portata del popolo e, facendogliene gustare il pacifico uso, l’abituano a servirsene”. Tomas Carini non menziona questi autori, bensì un trattato di questioni militari, intitolato Il Generale. Manuale per l’esercizio del comando... Ci sono tanti modi di ammazzare la democrazia: Identità Comune e Amiunacittà hanno inventato la propria. A Ivrea non conviene la fusione Occupiamoci della questione importante: a Ivrea conviene o non conviene fondersi con Pavone, Montalto e Lessolo? Si direbbe di no, se consideriamo uno studio del Ministero degli Interni dell’anno scorso. Lo studio dimostra che dal punto di vista della spesa pro capite, cioè della quantità di euro prelevati dalle tasche dei cittadini, i Comuni meno costosi sono quelli tra i 10.000 e i 20.000 abitanti. Al di sotto di queste dimensioni, ma anche al di sopra, la spesa è superiore. Ivrea è già oltre i 20.000: perché ampliarla ancora facendo aumentare le spese del Comune? Vediamo meglio questo studio. I ricercatori adottano la classificazione presente nel Testo Unico degli Enti Locali e distribuiscono gli ottomila Comuni italiani in dodici fasce demografiche. Esse vanno dalla fascia 1, che comprende i Comuni al di sotto dei 500 abitanti, fino alla fascia dodici, quella dei Comuni oltre i 500.000 abitanti. Nei Comuni della prima fascia la spesa pro capite è molto alta: 2.751 euro a persona. Man mano che la popolazione aumenta i costi scendono, fino a raggiungere il punto più basso nei Comuni tra i 10.000 e i 20.000 abitanti: qui la spesa pro capite è di 797 euro. Dalla fascia successiva la spesa pro capite torna a crescere, fino a raggiungere i 1.661 euro a persona nei Comuni sopra i 500.000 abitanti. Insomma, i Comuni più costosi sono quelli che si trovano alle due estremità della classificazione, cioè da un lato i piccolissimi e dall’altro i più grandi. I Comuni più “economici” e convenienti per il cittadino contribuente sono quelli tra i 10.000 e i 20.000 abitanti. Ivrea ha già superato i 20.000 abitanti: per quale ragione si dovrebbe ulteriormente accrescerne la popolazione? Non a caso i ricercatori del Ministero propongono la fusione tra loro dei Comuni piccolissimi e piccoli, quelli da sotto i 500 abitanti fino ai 3.000, allo scopo di costituire nuovi Comuni con una popolazione complessiva dai 5.000 ai 20.000 abitanti. Non di più. Altrimenti la spesa cresce. L’amministrazione del Comune di Ivrea per caso vuole far ingrossare la spesa a carico dei chivassesi? E’ vero che il governo prevede incentivi per le fusioni: soldi e sblocco delle assunzioni. Ma gli incentivi vengono concessi solo per un breve periodo e produrranno benefici limitati nel tempo, mentre il Comune troppo costoso resterà per sempre a danno nostro e delle generazioni future. Ci conviene?
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