Negli ultimi mesi, nei corridoi della sede di Hydroaid, la Scuola internazionale dell'acqua per lo sviluppo che ha sede a Torino, aleggiava l'ipotesi di realizzare un progetto in Egitto. Il progetto, voluto dal presidente di Hydroaid, l'Ambasciatore Luigi G. Cavalchini, con l'appoggio del Comune di Torino e del Governo italiano, sarebbe consistito in uno scambio di formazione in un paese che ha uno dei bacini idrici più grandi al mondo, il Nilo, ampio circa 3.254.555 km². Da cosa è nata l'idea di realizzare una scuola dell'acqua proprio in Egitto? Forse per sopperire ad un bisogno degli egiziani? Non proprio. Piuttosto perchè il Governo italiano ha (o aveva) buone relazioni con quello egiziano. Questo basterebbe perché vi siano i presupposti e le condizioni per poter fare un progetto di cooperazione sostenuto da un programma di conversione del debito tra i due paesi (una convenzione che permette di estinguere il debito estero di un paese in cambio di progetti di sviluppo), per una cifra che si aggira intorno ai 100 milioni di euro. Così, tra gli ultimi giorni di novembre e i primi di dicembre 2015, si è svolta al Cairo la missione preliminare con l’intenzione di discutere le condizioni affinché una scuola dell’acqua prendesse forma. Alla missione hanno partecipato i rappresentanti di Hydroaid, l’ Amb. Luigi G. Cavalchini e il Dr. Roberto Ronco, e alcuni docenti del Politecnico di Torino tra cui il Prof. Francesco Porcelli, la Prof. Maria Chiara Zanetti e la Prof. Rajandrea Sethi. Insieme hanno preso parte a meeting con i rappresentanti di diversi centri di ricerca, come il National Water Research Center (NWRC) e l’Agricultural Research Center (ARC), dell’Embassy of Italy in Cairo e del Ministry of Water Resources and Irrigation. Poi il 3 febbraio al Cairo hanno trovato morto Giulio Regeni, un ricercatore italiano. E nessuno ha più parlato di una scuola dell'acqua in Egitto. Dopo quanto è accaduto è opportuno elaborare un progetto in Egitto? I progetti attivati da Hydroaid propongono corsi on-line per migliorare la gestione delle risorse idriche in paesi emergenti o in via di sviluppo, contribuendo così ad accrescerne le conoscenze tecniche. Corsi e-learning, rivolti a manager o a ingegneri, hanno portato in quindici anni di attività a raggiungere 1008 persone in tutto il mondo. Nella fase preliminare del “ciclo del progetto” (una procedura standard seguita da tutti i progetti di cooperazione), si prevede una missione esplorativa. Questa fase di istruzione delle attività è la più complessa perché prevede lo svolgimento uno studio di fattibilità, realizzato con una missione in loco (quella che si è tenuta al Cairo), e un’analisi del contesto in cui si intende realizzare il progetto. Alla missione di “pre-fattibilità“ avrebbe seguito l’elaborazione di un questionario da sottoporre ai partners locali e ai gruppi di interesse. L’idea si stava evolvendo: l'Egitto sarebbe stato soltanto la sede di una scuola dell’acqua che avrebbe coinvolto tutti gli altri paesi interessati dal bacino idrico del Nilo. Nel corso del ciclo di un progetto, le condizioni del contesto però possono cambiare: per esempio, se il Burkina Faso venisse coinvolto da un colpo di Stato o in Brasile cedesse una mega diga, proprio là dove si sta svolgendo un progetto, dovranno essere applicati i correttivi necessari per essere il più possibile coerenti con gli obiettivi di partenza. L'altra opzione è che il progetto si sospenda in attesa di condizioni più favorevoli. Per il progetto di Hydroaid in Egitto, le condizioni sono cambiate prima ancora che il progetto partisse. Si è fermato tutto perché hanno ucciso un italiano? Per la gravità di quanto è successo? Come ha affermato l’Amb. Cavalchini: “Il progetto non è mosso da motivazioni politiche. Intende piuttosto focalizzarsi sui problemi di potabilizzazione e di irrigazione dell’area. Grazie ad un centro internazionale di ricerca e scambio, queste popolazioni potrebbero condividere i principi e le tecniche per contribuire allo sviluppo economico e sociale del Paese“. Ora però le relazioni con il governo egiziano potrebbero incrinarsi e potrebbe non essere più tanto sicuro muoversi in un contesto caratterizzato da tali tensioni. Anche per un progetto che intende promuovere prosperità e benessere come la scuola dell’acqua e anche se, come ha affermato l’Amb. Cavalchini, “l’acqua può essere un elemento coagulante per far venir meno le tensioni“. Le buone relazioni che intercorrono tra i governi costituiscono dunque un condizione necessaria per l’implementazione di un progetto di cooperazione? E' certo. Tuttavia essersi fermati davanti all'assasinio di un connazionale e non dinnanzi ai 1150 dimostranti che circa tre anni fa furono massacrati in sola una giornata da Al-Sisi e da altri generali del golpe, delinea i caratteri delle relazioni intergovernative: pronti a tutto, basta che non si tocchi la propria cerchia. Pronti a tutto anche di fronte al gruppo di turisti messicani massacrati nel settembre scorso nel deserto o di fronte alle dichiarazioni delle Associazioni per la difesa dei diritti umani che affermano che la polizia, senza prove concrete, arresta e tortura cittadini egiziani. Può un progetto di formazione, come si presenta la scuola internazionale dell'acqua, chiudere gli occhi di fronte a tanta barbarità? Non dovrebbe invece schierarsi dalla parte dei diritti umani, dal momento che proprio la sua ragione sociale gira intorno all'acqua, un diritto umano riconosciuto anche dall'ONU dal 2010? Se così non fosse, se la linea dell'Associazione fosse quella di lasciare che il tempo passi così che l'assassinio di Regeni passi nel dimenticatoio, significa allora che le buone relazioni intergovernative non sono soltanto una condizione necessaria per il buon esito dei progetti di cooperazione ma anche sufficiente per scavalcare qualsiasi inosservanza dei diritti umani. Chiara Locuratolo
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