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VALPRATO SOANA. Ritornare all’agricoltura di montagna si può

VALPRATO SOANA. Ritornare all’agricoltura di montagna si può

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Quanto si parla di rilancio della montagna e della sua economia? Spesso. Quanto si fa in concreto per renderlo possibile? Non molto e con risultati non sempre soddisfacenti. A volte nascono però delle iniziative che meritano attenzione e che hanno delle potenzialità non trascurabili. E’ il caso  delle associazioni fondiarie per la gestione dei terreni agricoli o pastorali, nelle quali i privati e le istituzioni pubbliche si mettono insieme per elaborare strategie e sfruttare al meglio le risorse. A Valprato – e precisamente nella frazione di Campiglia - si sta cercando di farlo, pur tra incertezze e resistenze. L’idea è partita da un coltivatore e consigliere di maggioranza, Valter Pippinato, ed è stata fatta propria dall’intera amministrazione, che ha affidato a lui e ad Adriano Gea ( formalmente è capogruppo di minoranza ma i due schieramenti a Valprato lavorano insieme) il compito di portare avanti il progetto. L’obiettivo è di promuovere il ritorno dell’agricoltura in terreni oggi abbandonati, favorendo l’incontro fra domanda ed offerta e garantendo ai proprietari un supporto tecnico e burocratico. A CAMPIGLIA E’  DIFFICILE TROVARE UN TERRENO IN AFFITTO.  Chi cerca un terreno da coltivare a Campiglia fatica a trovarlo. Sembrerebbe un paradosso  ma non è così. Il primo problema è la parcellizzazione: “Per un’area  di 350 metri quadrati – esemplifica Pippinato - al Catasto risultano undici proprietari. Siamo alla quarta generazione e saranno diventati almeno sessanta… L’unica vasta zona coltivabile ha un’estensione di 20.000 metri quadrati ed i proprietari sono settanta od ottanta”. Una volta individuati i nomi, bisogna trovarne gli indirizzi: impresa alquanto complicata in una valle caratterizzata da un fenomeno migratorio imponente e precoce. Quando poi si riesce a prendere contatto, c’è chi si dichiara disposto a regalare i terreni (ma questo non è possibile, solo in assenza di eredi la proprietà passa al Demanio) mentre altri non vogliono vendere e nemmeno affittare ( “Li ho ricevuti in eredità. Li tengo lì, tanto non mi costano niente”). In altri casi ancora – e questo riguarda soprattutto i pascoli - vengono dati in affitto per quattro soldi e senza contratto. “Spesso si è ancora fermi al baratto – spiega Pippinato - mezza toma all’anno in cambio di un intero appezzamento…”. Parrebbe un vantaggio per gli allevatori ma non sempre è così: “Per ottenere le sovvenzioni bisogna dimostrare di essere in affitto. Capita che famiglie che fanno i margari da generazioni restino ingiustamente escluse solo per questo motivo”. La paura di cambiare lo stato delle cose è spiegabile: la burocrazia italiana sa frenare gli entusiasmi dei più ardimentosi, figuriamoci quelli dei tiepidi! Aderendo ad un’associazione fondiaria tuttavia viene meno tutta una serie di problemi. “Non vi è nessuna rinuncia alla proprietà dei terreni   il Comune se ne fa garante) e si può recedere in qualunque momento. Magari nei primi anni non ci saranno guadagni perché i soldi dell’affitto dovranno servire a rendere fruibile il fondo (come sistemare i percorsi d’accesso o portare l’acqua) ma si potranno presentare dei progetti ed ottenere dei finanziamenti. L’adesione è semplice: non ci interessa avere in mano il titolo di proprietà, ci basta sapere che sei l’erede. Il Comune supporterà l’associazione, la seguirà passo passo per due o tre anni poi, quando sarà in grado di  reggersi sulle proprie gambe, lascerà che faccia da sé”. ASSOCIAZIONE  FONDIARIA:  c’e’ DIFFIDENZA. La formula dell’associazione fondiaria è la via più semplice tra quelle previste dall’attuale ordinamento e trae origine da uno studio del professor Andrea Cavallero dell’Università di Torino.  Una delle prime località in cui è stata realizzata è Carnino, piccola frazione di Briga Alta in Val Tanaro: inizialmente aveva incontrato molte resistenze, ora tutti sono contenti dei risultati ottenuti. Lì si tratta di un’associazione pastorale, quella che si vuole realizzare a Campiglia riguarda  invece i terreni coltivabili ed è più complessa. Il primo incontro si era tenuto la scorsa estate, quando in paese erano presenti i campigliesi che vivono in Francia. Vi aveva partecipato il sindaco di Lauriano Po, dove l’iniziativa è già stata avviata. Com’erano stati fatti gli inviti e com’erano stati reperiti i proprietari? “Li abbiamo cercati in vari modi – spiega Valter Pippinato – Attraverso le ricerche catastali  (il fatto che Gea sia un geometra ha reso più facile il lavoro), parlando con gli anziani, utilizzando Internet. In un caso l’aiuto è arrivato dalla Nuova Zelanda da campigliesi che risiedono laggiù: hanno messo su Facebook le coordinate catastali e da Parigi si sono si sono fatti vivi i proprietari”. A Campiglia l’iniziativa è stata accolta con una certa diffidenza e Pippinato se lo spiega così: “Inizialmente credo che la proposta non sia stata ben compresa: la maggior parte dei presenti era venuta per lamentarsi dell’amministrazione in carica. Poi c’è stata la polemica sulle esumazioni delle salme nel cimitero di Campiglia, che ha distolto l’attenzione da ogni altra questione. Fra aprile e maggio, quando in Francia le scuole faranno due settimane di vacanza e molte famiglie torneranno qui per qualche giorno, passeremo alla fase operativa. Andremo avanti con chi ci sta: per quanti non vogliono aderire si potranno  eventualmente recintare i loro terreni per dividerli dagli altri”. Curiosa questa dipendenza  dalle feste francesi ma solo per chi non conosce la realtà locale: i valsoanini residenti in Francia sono ben più numerosi di quelli rimasti nella terra d’origine e molti terreni sono di loro proprietà. IL RILANCIO  DELL’AGRICOLTURA  E’ POSSIBILE... Un’associazione fondiaria come quella che sta per nascere a Campiglia può davvero aiutare l’economia montana a risollevarsi? E soprattutto: quali sono le reali prospettive economiche di chi vuole mettere in piedi un’attività agricola a quell’altitudine? Le risposte di Pippinato sono attendibili, dal momento che da nove anni si dedica alla coltivazione del genepy. E’ stato uno dei primi ad ottenere il Marchio di Qualità del Parco e due settimane fa è comparso nella trasmissione televisiva “Geo& Geo” .“Al genepy mi dedico per hobby ma una  persona che lo volesse fare per professione riuscirebbe a ricavarne un reddito per otto mesi all’anno”. Cos’altro si può coltivare lassù? “Molte cose  - è la risposta -  Voglio sperimentare lo zafferano, che in Abruzzo si riesce a far crescere con ottimi risultati fino a 1500 metri. Grandi possibilità le offre anche l’arnica, che al momento coltivo  per uso personale. Se ottenessi l’autorizzazione a preparare le creme diventerebbe un’attività molto redditizia”. Sperimentare gli piace e non disdegna l’introduzione di nuove tecniche per facilitare la lavorazione dei prodotti: l’importante è che non ne intacchino le qualità. Ci tiene al recupero dei terreni anche per contribuire alla salvaguardia di un patrimonio tanto importante quanto poco apprezzato. “E’ possibile partecipare a bandi per realizzazioni a livello paesaggistico.  Abbiamo dei bellissimi terrazzamenti in pietra a secco che rischiano di andare perduti a causa dell’espandersi incontrollato del bosco. Dobbiamo recuperarli: quella è Storia!”.
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