Nella Roma Arcaica, quella in cui cominciarono ad imporsi i rapporti antagonistici, il “PaterFamilias”, con la sua patria potestà, col suo potere assoluto: ”Natura et Jure”, era venuto in possesso dei privilegi relativi al fatto che era titolare dei propri beni, a differenza della donna e che, come i figli, non poteva possedere nulla di proprio. Nei primi secoli della sua storia il diritto romano rifletteva le regole di una società in cui capo indiscusso era l'uomo, con un potere di vita e di morte "Jus Vitae Ac Necis", padrone della casa e della famiglia, comprensiva anche dell'intera servitù. Soltanto l'uomo godeva dei diritti politici, come votare, eleggere e farsi eleggere, percorrere la carriera politica: il “Corsus Honorum”. La donna ne era del tutto esclusa. Anche per esercitare i diritti civili come sposarsi, ereditare, fare testamento, aveva bisogno del consenso di un tutore, di un uomo che esercitasse su di lei la tutela: questi era il padre, poi il marito e, all'eventuale morte del marito, il parente maschio più prossimo. Le limitazioni alla capacità giuridica della donna romana, vengono spiegate dai giuristi latini, con pretese qualità negative come ”l'ignorantia iuris” (ignoranza della legge), “imbecillitas mentis” (inferiorità naturale), “infirmitas sexus” (debolezza sessuale), “levitatem animi” (leggerezza d'animo). A questo punto si rende necessario dimostrare, con i fatti, tali assurdità e luoghi comuni che ricorrono talvolta ancora adesso impresse nell’antico DNA dell’uomo e difficile da scrollarsi di dosso con un senso di rinnovata e profonda convinzione. Andremo oggi quindi ad indagare, per quanto ci sarà possibile, le figure femminili piemontesi, vissute ai tempi dei romani, cercando così di definirne gli inediti profili. Il Principe gallo Belloveso, sarebbe stato mandato, secondo le leggendarie tradizioni sulla migrazione dei Galli, da re Ambigato, suo nonno, insieme col fratello Segoveso, e ad un grande numero dei suoi sudditi, per ovviare con spedizioni e occupazioni di nuovi territorî alla crisi in cui si trovava il regno per eccesso di popolazione. Disceso poi in Italia, avrebbe vinto gli Etruschi e fondato Milano. Secondo il racconto di Tito Livio, l'arrivo di Belloveso nella pianura di Mediolanum avvenne nel 387 a.C. circa due secoli prima dell'invasione di Roma da parte di Brenno, epoca in cui regnava Tarquinio Prisco tra il 616 e il 579 a.C., Livio narra anche che le truppe al seguito di Belloveso aiutarono i Marsigliesi attaccati dai Salvi a fortificare il luogo del loro sbarco, Massalia. Durante la loro prima calata in Italia, il cronista cinquecentesco Turzano, racconta che Belloveso, risparmiò Asti perché affascinato da una tale figura “che era una Venere di bellezza e una Pallade di virtù”. Per questa ragione , il Condottiero ordinò di evitare saccheggi e crudeltà nella città e nei suoi dintorni per amore di questa bellissima donna. Il suo nome era Eliana d’Asti. Il caso forse più particolare lo ritroviamo a San Ponso, un paesino del Canavese di appena trecento abitanti, dove si può ammirare un insolito e del tutto particolare battistero, in origine a forma quadrata, attiguo alla chiesa parrocchiale e databile al IV-V secolo. Anche se risalente all’epoca romanica, sorse su un’area cimiteriale già ,Jus ,Corsus Honorum,Vitae acNecis, esistente dal I-II secolo d.C. Forse proprio per questa ragione, come architrave, venne adoperata una lastra fu,Natura et Jure,neraria romana, con una raffigurazione stilizzata di una donna sdraiata con le mani che stringono un oggetto sul quale sono state fatte molte ipotesi: da uno strumento definito “magico”, o più probabilmente da una semplice bambola. Dall’epigrafe viene identificata come Secundina Aebutia e rimane sconosciuta l’appartenenza al suo rango sociale. Se ciò che stringe sul petto è una bambolina, l’alto Canavese, nel territorio di Salassa, troppo presto l’ha costretta a rinunciare a giochi e sogni. E così, altro gioco del destino, Secundina riposa non supina, ma su un fianco; osservando il declinare della valle che la cinge attorno per l’eternità. Nel secondo secolo dopo Cristo, ai tempi di Marco Aurelio, aveva seguito il marito Carlo ValerioPansa, tribuno della nona coorte, la moglie Candida Albuccia. Stanziatosi a Novara, Candida notò subito che le vecchie terme della città si erano malamente deteriorate, così provvide lei stessa alla loro ricostruzione, operando uno splendido rifacimento, permettendo in questo modo, che il suo nome rimanesse scolpito nel tempo fino ai giorni nostri. Così ne seguì l’esempio Terenzia Postumia, moglie di Sulpicio, poi da lui ripudiata per i suoi amori con Cesare e Cicerone. Fu amica di Candida Albuccia e risiedette a Novara nello stesso periodo, in quella occasione, volle donare ai concittadini un bagno pubblico. Nella raccolta del museo lapidario della canonica, un’incisione su una lapide, ricorda quell’offerta. Un’altra lapide più gratificante è stata rinvenuta nel giardino dei frati della Consolata. Si trattava di una certa Lolia Procla. Non sappiamo in che periodo sia vissuta a Vercelli, ma è stata brillantemente ricordata nel canto e nell’uso della cetra. Poco distante, precisamente a Ghemme, visse ai Tempi di Tiberio Earina Vibia. Donna prediletta da Vibio Crispo, lodato per la sua oratoria da Quintiliano, ma soprattutto ricordato da Tacito e Marziale per la sua immensa ricchezza facendo coltivare viti, stimata in 200 milioni di sesterzi. Oltre alla lapide Earina ebbe anche “l’onore” di vedersi intitolare una grappa. Non ha riferimenti anagrafici precisi la vicenda di Simplicia Statilia Tigrida, se non la sfortuna di morire a 36 anni. Trasferitasi a Casale Monferrato, in giovane età, si unì in matrimonio con VibioVerissimo che morì precocemente lasciandole due figli. Successivamente sposò il benestante EufilioSemplicio, dove il marito, che la rimpianse alla sua morte “per la virtù e la grande bellezza”, fece erigere un sontuoso mausoleo. In quel punto fu poi successivamente edificato il Seminario di Casale, ma l’epigrafe resta descrivendola “Per La virtù e la Grande Bellezza”. Infine visse tra il IV e il V secolo Taurina da Vercelli, dove volle a tutti i costi far innalzare un mausoleo per quattro sue zie religiose: Licinia, Leonzia, Flavia e Ampelia Avogadro. Le quattro pie donne avrebbero trascorso la loro esistenza in preghiera, devozione e opere di bene e il destino volle che la loro morte sopraggiungesse simultanea, nello stesso giorno, mese e anno della loro morte. A questo punto devo ammettere la mia sconfitta accompagnata da un pizzico di sconcertezza, o forse una coincidenza che poteva far riflettere sui disegni divini ed i suoi significati; ma che si sia trattato di un dono dal cielo, devo essere sincero, non avrei voluto farne parte...
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