Questa è la storia dell'ultimo capolavoro dell'amministrazione comunale. Un virtuosismo toponomastico che sembra una barzelletta e invece è cruda realtà. È la storia di via Braille. Era il lontano 2008 quando il Comune si impegnava con apposita delibera a intitolare una strada a Louis Braille, famoso inventore francese, ideatore del rivoluzionario alfabeto per non vedenti che tuttora porta il suo nome. Lo faceva su invito dell'Apri, l'associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti, un sodalizio che, a livello nazionale, da anni organizza iniziative per sensibilizzare la popolazione ai problemi dei ciechi. E poiché l'amministrazione ha sempre avuto un particolare occhio di riguardo – si fa per dire – nei confronti delle meritorie attività dell'Apri, sembrava cosa buona e giusta riconoscere con un gesto simbolico il suo impegno. Una volta tanto la promessa della politica non era rimasta lettera morta: via Braille, da qualche mese a questa parte, esiste davvero. È una traversa di via Frassati, nei pressi di via De Francisco. Oddio non è proprio una via. È più un vicolo. Un vicolo cieco. Non è una battuta di Woody Allen, è tutto vero. Via Braille non porta da nessuna parte. La memoria del grande inventore francese si perpetua in una striscia di asfalto di un centinaio di metri che si distende fra sparute palazzine e ipotesi di cantieri e che va malinconicamente a morire laggiù, dove si spegne l'orizzonte, in un ameno praticello popolato da leprotti e ortiche, nel bel mezzo del più pittoresco niente. Lo stesso vuoto pneumatico che alberga nella mente di quello scienziato che, fra tutte le strade che c'erano a Settimo, ha scelto di dedicarne a Braille una senza uscita. L’unica speranza per chi la imbocca è di girare a destra in via Fratelli Cervi perché, se si prosegue diritti, si esce solo ingranando la retromarcia. Viene da sperare che in Comune si siano sbagliati, che non ci abbiano fatto caso, o quantomeno che ci siano piani urbanistici pronti a dare quanto prima uno sbocco alla povera via Braille, foss'anche su un umile viottolo, su una pista ciclabile, su una mulattiera. Chissa poi se gliel'hanno detto, all'Apri. Perchè, al di là delle facili ironie, c'è anche la possibilità che i non vedenti non se ne siano neanche accorti, che gli avevano surrettiziamente dedicato un cul de sac. E il sospetto c'è tutto, se è vero, come è vero, che lo scorso febbraio il presidente nazionale dell'Apri, Marco Bongi, sollecitò il sindaco Puppo a onorare l'impegno preso dal suo predecessore Corgiat, e il primo cittadino gli rispose che via Braille c'era già. Senza specificare – forse, ci auguriamo, perchè non lo sapeva neanche lui - che via Braille era un vicolo cieco. Ora si spera che in Comune rimedino in qualche modo all'orrenda gaffe, magari trovando qualcosa di meno grottesco da intitolare all'illustre Braille. In alternativa, se proprio ci piace parlar di corda a casa dell’impiccato, si potrebbe adottare lo stesso criterio anche per le prossime intitolazioni, e quindi dedicare un sottopassaggio a Lady Diana e un altoforno a Primo Levi. Così, per amore del buon gusto.
lorenzobernardi@giornalelavoce.it
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