Ma la fatidica domanda è sempre la stessa: “Quando e perché Dulphìa scomparve?” Il misterioso villaggio venne distrutto o fu abbandonato dalla scena? La prima ipotesi viene avanzata dal tentativo di resistere agli assedi dei milanesi e degli alessandrini nel periodo 1230-1250, scomparendo lentamente in quelle occasioni. L’antagonismo culminò nel 1231 con l'assedio di Chivasso, centro politico e organizzativo degli aleramici, che riuscirono a resistere riforniti di viveri da un ponte di navi sul Po. Ma nella notte del 28 giugno 1231, ad un mese dall’inizio dell’assedio, i milanesi cavalcarono prima fino a Torino dove si recarono sulla riva destra del fiume, dilagando nei possessi monferrini, mentre sappiamo che nei possessi del marchese alla destra del Po, incendiarono molti luoghi e villaggi. Ci è ignoto se fecero altrettanto quando attraversarono i centri di Brandizzo e Settimo. Se così fosse avvenuto, “Dulphìa”, probabilmente meno difesa da Brandizzo e posta direttamente sulla strada percorsa direttamente dagli assedianti, avrebbe subito un’inevitabile devastazione. Un’altra ipotesi potrebbe essere che nella regione dove esisteva l’abitato di Dulphìa corresse una strada che collegava Chivasso con Ciriè, infatti una “via Clavaxi o Clavaxina, che collegava il territorio di Chivasso con quello di Volpiano, proseguiva verso i territori di San Maurizio Canavese e di Ciriè. I milanesi, assediando Chivasso, assaltarono prima Ciriè, percorrendo quella “via Ciriaci” e sulla loro strada potrebbero aver incontrato e distrutto il villaggio di Dulphìa, accelerandone l’abbandono da parte degli abitanti scampati. Ciò che andiamo a ricercare sempre nella Storia sono scontri e guerre, ma a nostro avviso è ben più probabile una seconda ipotesi. Dulphia scomparve non a causa di eventi bellici, che non erano mai tali da determinare la totale dissoluzione di un insediamento, ma che venisse semplicemente abbandonata in conseguenza della fondazione di borghi nuovi e di borghifranchi attuata proprio ad opera dei cittadini stessi. Ricordiamo inoltre, che lentamente, ciò avvenne più o meno in tutta Europa e l’abbandono di Dulphìa potrebbe essere avvenuto proprio a favore della limitrofa località di Brandizzo, che nel corso dei secoli ebbe a fortificarsi e quindi a diventare più sicuro per gli abitanti rispetto al primitivo insediamento evitando così gravi problemi di difendibilità. Però la medievale “Corte Dulphpìa” esisteva veramente. E non stiamo parlando di reminiscenze popolari o dell’opinione assai diffusa della considerazione da parte del lettore e comunque dell’opinione generale, l’errata insinuazione di banali errori, o peggio ancora, di “fantasie popolari”. Nominata come tappa da uno dei primi cristiani che si recava a Gerusalemme nel 333 d.C., fu anche teatro di un agguato che nell’agosto del 1515 i chivassesi tesero agli svizzeri, mentre erano in ritirata verso Milano, dopo l’arrivo in Torino di Francesco I. L’impresa non ebbe successo, gli svizzeri furono messi in fuga, comandati dal cardinale Matthaeus Schinner, vescovo di Sion, si vendicarono mettendo a sacco la città di Chivasso. Infatti la “Corte Dulfìa” doveva trovarsi alquanto più verso Torino, tra “Rivo Martino” e l’attuale Brandizzo, nei pressi della “Cascina Braida” e la “Chiesa dellaMadonnina”, dove il terreno appare un poco rialzato e si ritrovarono resti di antiche costruzioni. Tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, non ci consentono di valutare ulteriori elementi. Altresì, il più importante dato non ci viene dato da un documento, bensì da un edificio, la “Chiesa della Madonnina” or ora citata; oltretutto l’abside romanica dell’antico edificio, risalente al 600 d.C., che ha serbato, sia pure parzialmente, la “facies” originaria”, rimane l’ultima reminiscenza e la preziosa testimonianza delle vicende secolari che interessarono il territorio di Brandizzo. Sembrerebbe comunque che presso Dulphìa esistessero due chiese: la Cappella della Madonnina, che era dedicata fin dalle origini alla Madre di Dio e la “Chiesa di San Cristoforo”, che doveva sorgere, “fin dai remotissimi tempi “, ai confini del territorio “dulphìano”. Nel 1991 è ricomparso, nell’abside interna, un interessante affresco. All’apparenza e nell’insieme apparirebbe abbastanza rozzo. Vi ritroviamo raffigurata la Madonna, con il Bambino appoggiato al seno, in mezzo a SanGrato e a San Rocco, effigiati secondo l’iconografia tradizionale. Sicuramente l’affresco fu ritoccato e maldestramente rimaneggiato in alcuni moduli espressivi irrimediabilmente alterati. La domanda è: “Sono ancora adeguatamente leggibili?” Possiamo dire che è semplice coglierne la delicatezza e la quasi ricercatezza dei tratti dei volti della Madonna e del Bambino, ma alcuni elementi, per così dire, “atipici”, sono degni di essere esaminati. Il Velo aderente al capo della Madonna, il Bambino nudo, adorno di una collana di grani di corallo, ripreso in grembo alla Madre appoggiata al seno, sovrappone il piede sinistro al ginocchio destro e con la manina tiene il manto della Madonna. Sullo sfondo, compaiono inoltre i tratti di una cornice raggiata a forma di “mandorla”, motivo che caratterizza le decorazioni di epoca tardo-gotica. I decreti della visita del 23 febbraio 1764, indicano i provvedimenti da adottare “in saccello campestri B.V.M. Gratiarum”. Tale titolo è ancora quello che la chiesa conserva; successivamente denominata “La Madonnina”, forse per distinguere il culto prestato alla Madonna con lo stesso titolo in un'altra cappella di Brandizzo. Allora potrebbe essere stata la “Cappella della Madonnina” la chiesa di Dulphìa? La “ecclesia Sancte Marie, andrebbe collocata in un’area posta verso i confini con Volpiano, e se ne potrebbe individuare una traccia nella “Chiesa Dell’Assunta”, oggi scomparsa, ricordata nelle visite pastorali del cardinale Delle Lanze. In ogni caso, la chiesa di Dulphìa era dedicata a San Cristoforo, infatti nel territorio vicino a Brandizzo, sedi di pievi antiche non furono che Settimo a sinistra del Po e Gassino alla destra. Dalla pieve di Gassino dipendeva la “ecclesia diBrandicio”. Dall’abate di Fruttuaria Tommaso de Bagnolio apprendiamo un Capitolo generale dell’abbazia celebratosi l’8 settembre 1203. L’inedito documento risulta di estremo interesse, in quanto contiene un riferimento diretto a Brandizzo e nasceva dalla necessità di ribadire le prerogative spettanti all’autorità abbaziale rispetto alle pretese di alcuni monaci. Al Capitolo generale di Fruttuaria, si fa menzione del “prior prioratus Sancti Christofori de Calfo, diocesis taurinensis”. “Calfo” potrebbe essere una cattiva trascrizione di “Dulfìa”. La nostra ipotesi è che la Cappella della Madonnina sia stata la chiesa di Dulphìa dedicata a San Cristoforo, il culto del quale può collegarsi all’edificio in questione. Cristoforo, secondo la tradizione, martire di Licia in Asia Minore, fu uno dei Santi più venerati durante il Medioevo. San Cristoforo divenne il patrono dei pellegrini e dei viaggiatori. Il suo culto divenne tra i più popolari e il materiale iconografico su San Cristoforo è pressochè sterminato. Il santo e il suo culto sono quindi legati, durante il medioevo, alle vie di comunicazioni e ai fiumi, e le chiese a lui dedicate si trovano, generalmente, lungo le strade percorse dai pellegrini. La prossimità della Chiesa della Madonnina sulla strada “romea” e “francesa”, potrebbe rendere plausibile l’originaria dedicazione a San Cristoforo. Nel XVII secolo, Francesco Agostino Della Chiesa, in una sua descrizione del Piemonte, tuttora manoscritta e conservata nella “Biblioteca Reale” di Torino, scriveva che : “Brandizzo è parvolo luogo in aria non molto sana e ha un vecchio castello, appartenendo alli marchesi di Susa sia perché quel marchese fin qui si stendette, ovvero perché fosse a quelli Marchesi pervenuto per ragioni dotali della Contessa Berta figliola d’Ariberto de’ Marchesi d’Ivrea e moglie del MarcheseManfredo di Susa”, continuando poi che Brandizzo: “Fu della stessa Berta, dal vescovo Alrico di Asti suo cognato e dalla stessa contessa Adelaide sua figliola all’abbazia Fruttuariense, in più volte donato”. Nel 1889 Giuseppe Calligaris pubblicava “Un’antica cronaca piemontese inedita” in cui descriveva per la prima volta criticamente e integralmente il “Chroniconabbatiaefructuuariensis” riguardante i primi trecento anni della storia del monastero. In tale antica cronaca si parla di un certo Reghino, preteso figlio di re Arduino e presunto fratello di Guido da Volpiano: “Predictus Reghinus de voluntate patris, coenobio Fructuarensis dedit”, tra cui “totam villam Branditii”. Il fatto avrebbe avuto luogo circa nel 1088, anno della morte di re Arduino, così nel 1079 un terzo della “corte” indicata con il nome di Brandizzo veniva donata da Adelaide all’Abbazia di Fruttuaria. Una terza ipotesi potrebbe essere stata la “nuova” Brandizzo, già prevista nel 1203, dal fedele vassallo del marchese del Monferrato Ottone di Grafagno, istituendo, con un Castello difensivo e di un “pedaggio obbligato”, posto dove attualmente erano situatele case Bertetti e Dagna, in via Gondolo, già “Vecchia Contrada d’Italia”, negli edifici in cui, nel secolo scorso, era ubicato l’Albergo dei “TreRe”. Giovedì prossimo, concluderemo con l’ultimo articolo, l’appassionante storia sull’argomento.
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