Nel 1830, dopo quindici duri anni trascorsi nella Fortezza di Spielberg, in Austria, Silvio Pellico fu presentato ai Marchesi di Barolo da Cesare Balbo, ed ospitato, come segretario e bibliotecario dalla Marchesa Juliette Colbert , terrorizzata costantemente di essere sepolta viva, e qui vi rimase fino alla sua morte. La dura esperienza carceraria costituì il soggetto del celebre libro di memorie “Lemie prigioni”, scritto dopo la scarcerazione e che ebbe grande popolarità ed esercitò notevole influenza sul movimento risorgimentale. Pare che lo stesso Metternich ammise che il libro danneggiò l'Austria più di una battaglia persa. Pellico scrisse anche le “Memorie dopo la scarcerazione”, testo purtroppo andato perduto. Travagliato da problemi familiari e fisici, negli ultimi anni della sua vita fu costretto ad interrompere la produzione letteraria. Morì il 31 gennaio 1854 e fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Torino, Campo primitivo Ovest, Edicola N. 266. Silvio Pellico e gran parte dei suoi amici facevano parte della setta segreta dei cosiddetti "Federati". Scoperti dalla polizia austriaca che era riuscita ad intercettare alcune lettere compromettenti di Maroncelli, il 13 ottobre 1820, Pellico, lo stesso Piero Maroncelli, Melchiorre Gioia e altri vennero arrestati. Da Milano Pellico fu condotto alla prigione dei Piombi di Venezia, e poi in quella dell'Isola di Murano, dove rimase fino al 20 febbraio 1821. “L’amico” Romagnosi fu invece prosciolto dalle accuse. A Venezia venne letta pubblicamente il 21 febbraio 1822 la sentenza del celebre Processo Maroncelli-Pellico. I due imputati furono condannati alla pena di morte. Successivamente, per entrambi, la pena fu commutata: venti anni di carcere per Maroncelli, quindici per Pellico. Oggi, invece, è in vendita sulle colline tra Chieri e Pecetto, in provincia di Torino, la villa che fu di Silvio Pellico. L’edificio è del Settecento e si tratta di un grande complesso in stile squisitamente piemontese che sorge sulle colline della Provincia di Torino in un grande parco di 90 mila metri quadri. Invece, nella piazzetta dei Mondagli, uno degli angoli più suggestivi del centro storico di Saluzzo, la Casa Natale di Silvio Pellico, è un edificio di origine medioevale, situato appena al di fuori della cerchia di mura risalente al 1280. Restaurata dal Comune si presenta oggi con i quattro archi ogivali affrescati che ne costituiscono la struttura portante, il piccolo appartamento al primo piano dove lo scrittore e patriota nacque il 25 giugno 1789 e trascorse i primi anni della sua vita. La casa-museo di Silvio Pellico, a Saluzzo, custodisce un insieme eterogeneo di materiali, costituitosi con l’arricchimento progressivo del nucleo originario pervenuto nel 1858 dalla sorella dello scrittore, Giuseppina Pellico, con oltre 1250 pagine di scritti. Su una parete, un grande dipinto di Pellico e Maroncelli che lasciano le carceri di San Michele a Venezia per lo Spielberg e che Carlo Felice Biscarra realizzò nel 1865. Gli oggetti personali trovano posto nella sala decorata in stile neoclassico del primo piano, nello studio-tipo di uno scrittore tra il 1830 e il 1850, allestito integrando l’unico mobile realmente appartenuto a Silvio Pellico, il suo scrittoio. Nel Castello di Busca, lo scrittore amava passare qualche periodo come gradito ospite, dove si trova la struttura monumentale delle Serre, costruita tra il 1846 e il 1850. Il parco plurisecolare che circonda il castello fu concepito secondo i canoni del giardino romantico e presenta nicchie con statue, grotte, cascate, fontane, laghetti e punti panoramici. Alcuni interventi furono effettuati dal noto paesaggista Xavier Kurten. Ma ciò che più coglie il nostro interesse è il soggiorno del poeta nel Castello di Murisengo durante l’anno 1813, ospite del Marchese Don CarloGuasco di Bisio, suo amico, che successivamente fece apporre una lapide (ancora chiaramente visibile) per ricordarne la presenza in un momento in cui il patriota non era ancora stato arrestato dagli austriaci, ma l’acuta intuizione che possedeva, lo portava a frequenti viaggi tra la Lombardia e il Piemonte per rendersi il più possibile meno rintracciabile dai suoi inseguitori. Silvio Pellico, con quel vagare, ripercorreva idealmente l’esilio dantesco, imitando un autore che amava e che in quel momento probabilmente andava identificandosi. Il castello in quell’anno è in rovina e forse il poeta, trae proprio ispirazione da quell’ambiente tetro e malinconico, scrivendo “La Francesca da Rimini”, che diventerà, già un grande successo teatrale la sera del 18 agosto 1815, quando viene rappresentata per la prima volta a Milano. La vicenda di “Paolo e Francesca” è interpretata sulla scena da Carlotta Marchionni di cui il poeta nutre una grande passione per la sorella, sempre ostacolata a stento dai familiari.
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