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TORRAZZA PIEMONTE. Quando suonava la sirena...

TORRAZZA PIEMONTE. Quando suonava la sirena...

Municipio Torrazza

La prima sirena, sembra il coprifuoco, suonava intorno alle 14. E poi via via una dietro l’altra, ovunque ci fosse una fornace. La prima avvisava che la pausa era finita. Le altre scandivano il tempo del rientro nel luogo di lavoro. Racconti di una vita che non si farebbe più. Per le strade, alla spicciolata, decine di uomini e donne salutavano mogli, figli e mariti, e in bici o a piedi si incamminavano per le strade del paese. Tutti uguali. Con il cappello o un foulard in testa, i vestiti impolverati e le mani coperte da guanti tagliati sulle punte. Da Nigra, da Pautasso, da Ghiggia, da Preti, da Monaco, da Artino. Chi non conosceva questi cognomi? Erano la borghesia del paese. Gente a cui si doveva portare rispetto perchè erano loro che davano il lavoro. Duro, faticoso, ma pur sempre un lavoro. Di quelli semplici e alla portata di tutti, anche di chi non aveva studiato o a malapena era capace di prendere in mano una penna per scrivere il proprio nome e cognome. L’argilla impastata con acqua, i mattoni crudi e di colore giallo da cuocere nei grandi forni e poi il prodotto finito e rosso, rossissimo,  caricato sui camion diretti in tutto il nord Italia e ovunque si stesse costruendo qualcosa. Altri tempi. Tempi di un boom economico che, nel primo dopoguerra, non era ancora scoppiato ma avrebbe significato migliaia di nuove case, palazzi, strade e famiglie pronte a trasferirsi dal sud al nord. A Torrazza capirono tutto questo con largo anticipo e non si fecero trovare imprepararti. Mancava la mano d’opera? Decisero di andarsela a prendere e pure “specializzata”. In Friui, in provincia di Udine dove avevano chiuso numerose aziende di laterizi. Intere famiglie si spostarono così da est a ovest per andare a vivere nelle prime case costruite appositamente per gli operai che si siano mai viste e pensate in Piemonte. Inutile contare le generazioni che da qui in avanti avrebbero mangiato “pane e mattone”. Tante... Tantissime. Poi, piano piano, negli anni novanta, è arrivata la crisi del settore, anticipatrice della stagnazione economica dei giorni nostri e giù come dei birilli, una dietro l’altra, le fornaci hanno cominciato a chiudere i battenti e per sempre. Ne restava ancora aperta una, la Fornace Nigra, quasi a presidiare il territorio. Chiuderà anche quella, lasciando ai posteri i ruderi di un passato che non ritornernà mai più.  
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