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02 Settembre 2015 - 11:29
Chivasso vanta una tradizione di coltivazione di ortaggi di pregio: non solo il celebre “pomodoro costoluto”, ma tanti altri prodotti dell’orticoltura. Allora perché l’amministrazione ha indicato come specialità di questa piatta pianura un pesce di montagna, autoctono del Trentino e della Lombardia? Con Chivasso c’entra come i cavoli a merenda. Ecco, appunto, anche i cavoli facevano parte della coltivazione orticola chivassese.
Tutte cose che gli anziani del posto ricordano. E che su queste pagine qualche anno fa ci ha raccontato con ricchezza di particolari Beppe Vijno: “il pregiato pomodoro di Chivasso, fagioli, piselli, patate, rape, ravanelli, peperoni, cipolle, cipollotti, arachidi, zucchini, tante varietà di insalata…Vi ricordate il cardo gobbo, coltivato nelle terre sabbiose e umide della Quiete? Gli orti si trovavano ovunque, anche nelle frazioni, anche se alcune zone, come la “Corona” (che comprendeva la Quiete o Brozola e tutto Stradale Torino) vi erano particolarmente vocate”.
La coltivazione degli orti produceva a cascata benefici economici per la città: gli ortaggi venivano commercializzati al mercato, che era una delle risorse economiche della città, e in parte lavorati dall’industria di trasformazione, come quella della conserva.
Sentiamo ancora Beppe Vijno sull’”indotto industriale” dell’orticoltura: “La produzione alimentava una notevole industria di trasformazione: la Sacco, ad esempio, inscatolava i prodotti degli orti e produceva una ottima conserva, quella che oggi è la Salsa Rubra della Cirio (non a caso l’etichetta reca la scritta “antica ricetta piemontese”)”. E sulle ricadute positive per il commercio: “la produzione agricola e orticola alimentava i mercati: la “fiera” del mercoledì e il mercato dei “giardiné” del fine settimana. Ovviamente, al mercato di Chivasso arrivavano anche gli ortaggi e la frutta di altre zone, come le pesche di vigna del Monferrato e quelle di Borgo d’Ale e Alice Castello. E il giovedì c’era il mercato delle granaglie: vi si vendeva anche il riso del vicino Vercellese”.
Per di più, chi giungeva al mercato dai paesi vicini apriva il portafoglio anche negli esercizi commerciali stabili: “Il mercato ortofrutticolo… faceva da volano al resto del commercio. Chi veniva da fuori al nostro mercato ne approfittava per fare acquisti nei negozi di ogni categoria: abiti, scarpe, materiale elettrico, cancelleria, pezzi di ricambio auto, ferramenta, ecc. E persino la pasticceria, che qui era una produzione di eccellenza: qui sono nati i nocciolini”. E non basta: “Dobbiamo aggiungere gli esercizi che allora venivano chiamati i “coloniali”, perché in origine vendevano caffè, zucchero, spezie, ma poi divennero venditori all’ingrosso di alimentari conservati”. Ma non finisce qui: basta rileggersi l’intervista, che ripubblichiamo integralmente. Invece che da Kumalè, l’amministrazione poteva farsi consigliare da Vijno: sicuramente costava meno.
Ebbene, tutto questo ben di dio, che rendeva prospera la città, originava in parte dalla produzione degli orti. Come mai non è venuto in mente all’amministrazione, o al generosamente pagato chef, di chiedere ai cuochi del vip-concorso in tenuta Cerello di presentare piatti ispirati alla produzione orticola chivassese? Ci voleva proprio il pesce di alta montagna per completare il gastro-catastrofico flop commerciale di “SovraErogazione” del 4 e 5 luglio? A partire dagli agnolotti ripieni di verdura, non mancavano certo i piatti adatti. Bastava chiedere qualche dritta a un vegeriano/a appassionato di cucina: pasta alle melanzane, grigliate di verdura, zucchine ripiene…Invece abbiamo preferito inventarci una sorta di Chivasso “città dei laghi di alta montagna”.
A proposito di vegetariani. Approfittando della rinomata tradizione ortofrutticola, una amministrazione illuminata, progressista, salutista non doveva perdere l’occasione di promuovere la cultura vegetariana. Una cultura sempre più diffusa per tante ragioni: a cominciare dalla salute. E proseguendo con il dramma di “nutrire il mondo”. Da una intervista a Umberto Veronesi: “Per ottenere un chilogrammo di carne da consumare occorrono 15 mila litri d’acqua, mentre ne occorrono meno di mille per ottenere un chilo di cereali. L’acqua è una risorsa scarsa e lo sarà sempre di più in futuro. Il consumo di carne gioca un ruolo anche nella scarsità di cibo che ci aspetta …I cereali destinati a nutrire i quattro miliardi di capi di bestiame che ingrassano la popolazione sovralimentata potrebbero infatti essere utilizzati per sfamare la gente sottonutrita”.
Bastava comprare il “Corriere della Sera” del 15 marzo: costo un euro e mezzo, un po’ meno della parcella di Kumalè. Ma sarebbe stato troppo semplice: i nostri amministratori hanno preferito complicarsi la vita e lanciare inconsapevolmente un messaggio da “Chivasso città carnivora”. Questi risultati sono stati raggiunti con modeste cifre: appena 15.000 euro con la delibera 205 del settembre 2014, appena 72.000 euro con la delibera 67 dell’aprile 2015. Sempre che la “sovra Erogazione” sia finita qui.
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