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Suicidi, un'escalation continua

Suicidi, un'escalation continua
Il presidente del consiglio Matteo Renzi da mesi oramai va ripetendo la solita tiritera delle riforme che stanno cambiando l’Italia, della ripresa che oramai si vede e che sta lì, dietro l’angolo. E poi dell’occupazione che sta crescendo, dei ristoranti pieni, del pil, dell’euro, del petrolio e tante altre bestialità. Per carità, si può dire davvero tutto quel che si vuole, ma qui, da noi, l’economia continua ad andare di male in peggio e crescono giorno dopo giorno  le famiglie che non sanno più dove sbattere la testa. Sono commercianti, imprenditori, dipendenti lasciati a casa da un giorno all’altro. E sono uomini e donne di cui non si cura nessuno e che avrebbero bisogno di meno tasse, di un fido in banca, una mano di incoraggiamento o forse niente di tutto questo. Dimenticati da tutti e anche dalle Amministrazioni comunali, impegnate come sono con i profughi, i barboni e bilanci di previsione in cui si decidono solo quali aliquote e quali tasse. Parliamo di quelli che non si presenteranno mai alla mensa sociale per un piatto di minestra. Per dignità. Per vergogna. Perchè non lo hanno mai fatto. Perche nessuno lo deve sapere. Perchè a volte non c’è un perchè, c’è solo il passato che fa a pugni con il presente, stritolando sogni  e prospettive, speranze e voglia di lottare. E c’è chi rinuncia a vivere per davvero e c’è chi muore. Nell’agosto del 2012 raccontavamo la brutta fine di un bravo ragazzo. Di Emilio Bruno, 44 anni, impresario edile, dell’azienda ereditata dal padre. Ex giocatore di calcio, mezza punta dell’Urs La Chivasso, “Careca” per gli amici. Si era tolto la vita impiccandosi alla ringhiera di una delle villette costruite in frazione Pogliani. Disperato, non riusciva a venderle per la crisi e per la discarica. Oppresso dai conti, dalle scadenza da rispettare, da quegli immobili senza nomi ai citofoni, una moglie e due figli piccoli da mantenere. Uguale identica la storia di Giorgio Gandolfo, 54 anni, di Volpiano, titolare di un mobilificio a Torino. Sommerso dai debiti, si è impiccato il mese scorso con una corda legata alla trave del garage di casa. In un biglietto indirizzato alla moglie le ha chiesto scusa raccontandole che il giorno dopo avrebbe dovuto incontrare l'ufficiale giudiziario per il pignoramento della casa, già ipotecata. Una situazione difficile che fino a quel momento le aveva tenuto nascosta. Due storie uguali, due tragedie che fanno riflettere. Due uomini che avrebbero potuto dare ancora molto a questa economia, ma ci hanno rinunciato. Inutile domandarsi quanti sono i casi di suicidio in Italia per effetto della crisi.  Esistono pagine intere di facebook e blog che ne elencano a centinaia. Tanti! Troppi! E probabilmente tanti altri se ne aggiungeranno. E’ una cosa che si sente, che si respira e, se non si è ciechi, che si vede. In qualche caso, basta aprire la posta elettronica. Come quel giorno in cui è arrivata in redazione questa email, di un importante commerciante di Chivasso. “Nella vita può succedere di attraversare un momento di difficoltà e noi purtroppo ne abbiamo attraversato uno che non auguriamo a nessuno. Il peggiore di tutta la nostra vita, sia professionale che privata. Provare vergogna per non riuscire a onorare impegni presi, …ti umilia e ti toglie dignità….che sono difficili da superare… Ci siamo sempre sentiti responsabili del nostro operato e dei nostri collaboratori, garantire a loro e ai nostri fornitori il dovuto è sempre stato un imperativo, come le tasse e i contributi, inoltre non sappiamo se a ragione o a torto, abbiamo reinvestito i nostri utili nel progetto in cui credevamo e nel giro di otto anni abbiamo incrementato il numero di dipendenti creando opportunità di lavoro stabili… Oggi questo non possiamo più garantirlo... e fa male… ti uccide nell’anima...” E poi ancora “Abbiamo dovuto fare a nostra volta scelte dolorose (chiusura di punto vendita e licenziamenti) e i nostri acquisti si sono ridotti di conseguenza con ricadute negative sui nostri fornitori, sia di materiali che di servizi. Vivo in un paese che uccide l’economia e non è in grado di valorizzare la vera forza lavoro e chi come noi, tutti i santi giorni è sul pezzo per far si che ci sia del danaro da far girare...”. Dolore e rabbia. Voglia di spaccare tutto e ancora un pizzico di voglia di combattere. “Ho perso tutto, il marito, l’azienda, i soldi, la casa”, ci racconta un’altra ex imprenditrice. Fino a qualche tempo fa,  con la sua azienda, dava lavoro ad una dozzina di persone, oggi non più. “Ho pensato anche al suicidio. Giuro che l’ho fatto. Una giorno sono andata fino al canale Cavour. Ma ho ancora un figlio da crescere e non me lo posso permettere...”. E la chiudiamo qui!  
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