Nel periodo ottocentesco del Risorgimento italiano, le nostre zone erano colme di convinti patrioti. Intellettuali o semplici sostenitori dell’unione e della libertà, i gruppi per i volontari nelle guerre per l'Indipendenza erano composti da un fitto ed organizzato sottobosco, che purtroppo oggi molte volte viene sottovalutato. Oggi ne ricorderemo almeno uno: il tenente colonnello Antonio Arietti. Egli era nato in un antichissimo cascinale tuttora esistente, nell’attuale via Circonvallazione 38, a Brusasco, il 2 febbraio 1838 e di lui non siamo riusciti a trovare nemmeno un’immagine: tutto è andato perduto. Fortunatamente però, esiste un fitto ed interessantissimo resoconto del periodo risorgimentale, scritto di pugno dall’Arietti stesso e successivamente “ciclostilato” alla vecchia maniera. Meritando, a nostro avviso, almeno una più degna considerazione ed una pubblicazione di ben altro carattere, così proveremo noi, in base ai suoi scritti e alle sue memorie a rendergli omaggio, raccontando, attraverso il suo diario, il suo entusiasmante contributo a due delle tre guerre per l’Indipendenza Italiana. Antonio Arietti dopo aver compiuto gli studi classici, si era laureato brillantemente in Lettere presso l'Università di Torino. Era anche stato da poco nominato professore di Latino presso il Regio Collegio di Asti, quando scoppiò la II guerra per l'indipendenza. Fece subito la sua scelta: si arruolò volontario come soldato semplice e al termine di quella campagna si era già guadagnato i gradi di tenente. Venne in seguito inviato ad assediare con l'Esercito Piemontese, nella fortezza di Gaeta, i Borbonici già sconfitti da Garibaldi in Sicilia e sul Volturno. Il coraggio dimostrato durante questa impresa valse al nostro patriota la promozione a luogotenente e una medaglia d'argento al valor militare. In seguito si distinse in Sicilia nella lotta contro il brigantaggio e con il grado di capitano di fanteria, partecipò alla III guerra d'indipendenza. Aveva ormai davanti a sè una brillante carriera militare ed era già stato promosso tenente colonnello, quando preferì ritirarsi a vita privata a Firenze, dove morì il 15 novembre 1894. Il suo ricordo è giunto vivo fino a noi grazie alla figlia, che fece ristampare nel 1961 l’opuscolo autobiografico del padre: "Ricordanze della guerra perl'indipendenza italiana 1860-61" riordinato a Firenze nel 1895. Si tratta di un avvincente diario, fatto di pensieri scritti sui campi di battaglia, che rivelano tutto l'entusiasmo del giovane ufficiale. Esaminiamone qualche brano. 13 settembre 1860, l'Esercito Piemontese aveva invaso lo StatoPontificio, e nei pressi di Pesaro, stava aprendosi il passaggio verso sud a colpi di cannone. AntonioArietti annotava nel suo diario: "Io mi trovavo in prima linea. Questo fuoco vivo e incessante mi riempì l'animo di furore...". Il diario di questa giornata si conclude così: "Domani moveremo verso Ancona. Là sarà l'osso duro da rodere. Ma abbiamo buoni denti. Come sono felice di poter contribuire anch'io al grande edifizio dell'Unità Italiana!". Ma il contributo che egli apporta non è fatto soltanto di entusiasmo, di belle parole, di retorica. E' fatto soprattutto di rischi, sofferenze, fatiche al limite della sopportazione. Il 17 settembre si trova accampato ad Osimo e rivela: "Questa volta mi sento realmente spossato...Non avrei mai creduto di poter resistere a tali fatiche". Il giorno dopo avrebbe una ragione in più per essere stanco, c'è stato un duro combattimento, ma il tenente Arietti si limita a fare questo commento: "Arrivarono da noi 500 prigionieri fra cui tre ufficiali. La popolazione li fischiò e fece male. Non si deve mai insultare ai vinti!". Lo stesso senso di umanità egli dimostra quando nelle pause tra un combattimento e l'altro, si reca a visitare i feriti. Ma non sono soltanto i suoi soldati quelli che lo vedono sostare accanto al loro giaciglio. Scrive infatti: "Andai pure a vedere i feriti nemici che fecero molta compassione, e soprattutto un povero soldato tedesco, a cui era stata amputata una gamba, e le cui esclamazioni ripetute di - Jesus Mària! Jesus Mària- mi lacerarono il cuore". C'erano per fortuna dei momenti di distensione, durante i quali poteva soffermarsi ad ammirare le bellezze naturali: "Che magnifico sole! che belle campagne! che aria balsamica!". Ma vi era soprattutto la gioia di essere accolti nelle città come dei liberatori. Ancona lo entusiasmò in modo particolare: "...La città era tutta illuminata; tutte le finestre imbandierate....Mi colpì soprattutto una bellissima lampada su cui brillava la parola scritta in grossi caratteri: Finalmente!". Poi l'esercito partì per l'Abruzzo e se i pericoli dei combattimenti erano leggermente diminuiti, aumentavano invece i disagi delle lunghe trasferte: "Abbiamo fatto una marcia di 15 miglia molto faticosa....Benedetta la tenda e la paglia quando se ne può avere!....Abbiamo fatto più di 20 miglia sotto una sferza canicolare....Marciammo per 15 miglia di seguito, senza fermarci mai, sempresospinti dalla bufera.... Stasera sono stanco davvero. E domani dovremo fare una marcia ancora più lunga! Non importa: avanti sempre! Questi sacrifici non saranno inutili....". Anche in Abruzzo l'accoglienza della popolazione fu entusiasmante: "Fummo accolti festosamente dappertutto....". Non c'era tempo però per lunghe soste, bisognava subito rimettersi ad arrancare su per le giogaie dell'Appennino, nella faticosa marcia di avvicinamento a Gaeta. Il 21 ottobre ecco di nuovo il tenente Arietti confrontarsi con la dura realtà della guerra. Si trova ad Isernia.: "Che orrore! Case bruciate, porte scassinate, botteghe svaligiate; le strade piene d'acqua che s'era adoperata per estinguere gli incendi, insomma una città saccheggiata. Mi colpì soprattutto la rovina del PalazzoJadopi, di cui non rimanevano più in piedi che le mura. Gli autori di tante scelleratezze furono i soldati borbonici, specialmente i gendarmi, e più di tutti i contadini (cafoni) inferociti ed aizzati dal partito sanfedista. Si fecero veri massacri. Non pochi Garibaldini furono scannati". Qui l'atmosfera era meno festosa intorno all'esercito piemontese, anzi non lo era per niente: "Il paese fu muto al nostro passaggio". Dopo qualche giorno di marcia ecco nuovamente Arietti vicino alla linea del fuoco. Il 30 ottobre annota nel suo diario: "Ho fatto il mio testamento e sono tranquillo. Ieri ebbi la promozione a luogotenente nel 24° fanteria, e fui assegnato alla prima compagnia. Ora mi trovo proprio in prima linea". Il pericolo evidentemente non lo turbava, dal momento che mentre intorno a lui rimbombavano le cannonate, egli sentiva il desiderio di leggere qualche passo della Divina Commedia: "Lessi due canti di Dante che gustai e sentii molto". Il 10 novembre è in vista Gaeta: "Sento di qui il suono delle trombe e il rullo dei tamburi, e mi pare proprio di udire le voci degli assediati", comunque assicura di aver dormito "benissimo, malgrado il rombo delle artiglierie". Il 28 novembre arriva l'ordine di raggiungere gli avamposti al Monte deiCappuccini, il giorno dopo la sua compagnia è la prima ad essere impegnata per fronteggiare un attacco dei soldati borbonici. Ecco come descrive l'episodio: "Appena giorno, si sente un fuoco fitto di fucileria. Che è questo? Ci siamo: avanti! I piccoli posti erano stati attaccati. La mia compagnia si avanza per la prima...Mi trovai proprio di fronte al nemico...La Piazza vomitava fuoco e una fitta grandine di fucileria ci fischiava alle orecchie. Io corsi gravi pericoli...I soldati tutti si diportarono eroicamente. Io pure credo d'aver fatto il mio dovere". Sicuramente Arietti fece ben più del suo dovere, perchè fu proprio in tale circostanza che si guadagnò la medaglia d'argento al valor militare. E il suo dovere continuò sempre a farlo tra rischi continui che egli descrive con distacco, quasi scherzando: "Stasera la passeremo al Cimitero. Così, nel caso, non occorreranno spese per ifunerali...".Gaeta si arrende il 13 febbraio 1861 e la felice conclusione dell'assedio fece esultare di gioia il luogotenente Arietti: "Gaeta è nostra. Tutto è finito, e ringrazio Iddio dal più profondo del cuore". Ora egli avrebbe potuto godersi qualche giorno di pace nell'incantevole Golfo di Napoli, ma evidentemente non amava la vita comoda, quindi nel suo diario esprime l'insoddisfazione per l'ozio forzato a cui è costretto: "Come sono annoiato da questa inerte vita". Il 19 marzo vi fu la proclamazione del Regno d'Italia, avvenimento che fu salutato a Napoli con "101 colpo dicannone". Nel diario egli aggiunge: "Oh quando il Regno d'Italia avrà la sua capitale!". Ecco il suo grande desiderio, continuare la lotta fino alla liberazione di Venezia e Roma. Per questo, quando sarà destinato al presidio di Cesena, scriverà a conclusione delle sue pagine di diario: "Se invece di andarmi ad annoiare a Cesena, potessi partire per una nuova campagna per Roma o per Venezia, come sarei contento!". E così sarà. Partecipando alla III guerra per l'indipendenza contribuirà a cacciare gli Austriaci da Venezia e potrà anche vedere Roma capitale del Regno d'Italia. In conclusione non è da tutti desiderare una vita con un nobile sogno, che la storia non regala quasi mai, se non tra sforzi, sofferenze e battaglie ed esserne testimone e partecipante. Ciò di cui dobbiamo essere grati all’Arietti è di avercela tramandata e sta a noi il dovere che questo vecchio e scolorito inchiostro non vada mai perduto nel nulla.
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