La fusione Fiat-Chrysler verrà completata così "come approvata" dall'assemblea dei soci, lo scorso primo agosto. Nel giorno in cui il titolo della casa automobilistica torna sopra i 7 euro, chiudendo le contrattazioni in borsa in terreno positivo per il secondo giorno consecutivo (+1,79%), l'azienda bolla come "illazioni" le indiscrezioni di stampa sulla possibilità di alzare il tetto dei recessi per condurre in porto l'operazione. L'ipotesi, tecnicamente possibile, non è mai stata presa in considerazione. Fiat non ha infatti alcuna intenzione, precisa un portavoce in una nota, "né di rinunciare a tale limite, né di elevarlo". L'asticella resta dunque a quota 500 milioni di euro, il costo massimo stabilito dal Lingotto per il recesso dalle azioni, diritto che il codice civile concede a chi non ha votato a favore della fusione. Qualora dovesse essere superata - tra non intervenuti all'assemblea e contrari (8% del capitale) all'operazione il recesso potrebbe arrivare addirittura a 700 milioni - il progetto subirebbe uno stop. Nessun piano B, dunque. "Se il limite fosse superato - spiega l'azienda - e la società decidesse di convocare una nuova assemblea straordinaria, l'assemblea potrebbe semplicemente approvare un nuovo progetto di fusione, il che condurrebbe alla fissazione di un nuovo prezzo del recesso", attualmente fissato a 7,727 euro ad azione. Una cifra superiore all'attuale valore di mercato, crollato la scorsa settimana proprio sui timori che l'esercizio del diritto di recesso potesse bloccare la fusione, ma ora in ripresa. Dopo le parole dell'ad Sergio Marchionne, che nei giorni scorsi ha definito "esagerata" la paura del recesso e ha ribadito l'impegno dell'azienda nel portare a termine la fusione, il titolo Fiat ha ripreso quota. Il segnale viene interpretato in modo positivo dal Lingotto, che comunicherà nella prima settimana di settembre i numeri sugli azionisti Fiat che hanno deciso di esercitare il recesso. Tra i sostenitori dell'operazione, voluta da Exor con il suo 30% del capitale, si registrano numerosi fondi di Blackrock e di Ishare (gli etf controllati dal gestore americano). A fianco di Sergio Marchionne - come si evince dalla pubblicazione del verbale dell'assemblea Fiat dello scorso primo agosto che ha dato via libera alla nascita di Fiat Chrysler Automobiles - anche i fondi Vanguard, azionisti sopra il 2% del capitale, quelli del businessman americano di origine indiana Mohnish Pabrai, con poco più dell'1% del capitale, e di Bluemontain. Tra le banche centrali ha approvato le nozze Fiat-Chrysler la People Bank of China, anche se è intervenuta con una piccola parte del pacchetto del 2%. Anche l'asset manager Baillie Gifford, titolare del 2,6% del capitale, si è presentato in assemblea e ha votato sì con una frazione delle sue quote.
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