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Sud del Libano: è davvero cessate il fuoco se i droni non se ne vanno mai?

Dopo la tregua del 27 novembre 2024, il cielo resta occupato: sorveglianza continua, raid mirati, civili intrappolati tra Israele e Hezbollah in una guerra a bassa intensità che scandisce la vita quotidiana

Sud del Libano: è davvero cessate il fuoco se i droni non se ne vanno mai?

Sud del Libano: è davvero cessate il fuoco se i droni non se ne vanno mai?

All’alba, ad Abbasiyeh, il pane esce dal forno quando un ronzio metallico taglia l’aria. La fila si sgrana, qualcuno alza lo sguardo, altri scivolano lungo i muri. Non è una sirena né uno sparo: è un drone. Sospeso tra routine e minaccia, quel suono scandisce gli orari di scuola, le visite mediche, il lavoro nei campi, perfino i funerali. Da quando, il 27 novembre 2024, è entrato in vigore il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, i droni israeliani non hanno mai smesso di pattugliare il sud del Libano. Osservano, registrano, colpiscono. Le autorità di Tel Aviv parlano di attacchi mirati contro membri o infrastrutture di Hezbollah. Per chi vive sotto quelle eliche, il confine tra sorveglianza e guerra a bassa intensità coincide con la vita quotidiana.

Nel vuoto lasciato dal ridimensionamento delle operazioni di terra, il controllo del territorio si è trasformato in una sorveglianza persistente. Analisti e residenti parlano di un’occupazione a distanza: meno uomini sul terreno, intelligence in tempo reale, pressione psicologica continua. La presenza dei droni, rumorosi a bassa quota o quasi impercettibili più in alto, è descritta come costante. Pattugliamenti, inseguimenti, talvolta attacchi contro veicoli o strutture considerate sospette. Nelle testimonianze raccolte sul campo, la popolazione sposta gli impegni in base all’intensità del ronzio, come si fa con la pioggia durante un temporale che non finisce.

Il cessate il fuoco del 27 novembre 2024 ha chiuso due mesi di scontro aperto, ma non ha riportato normalità nel Sud. La UNIFIL (Forza di interposizione delle Nazioni Unite in Libano) e diverse organizzazioni internazionali denunciano violazioni ricorrenti della Risoluzione 1701 dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), citando sorvoli e attacchi mirati. Tra settembre e ottobre 2025, la missione ha segnalato episodi gravi, come ordigni sganciati da droni nelle vicinanze dei caschi blu e l’impatto di un UAV (Unmanned Aerial Vehicle, velivolo senza pilota) sul quartier generale di Naqoura, senza vittime. Il Commissario ONU per i diritti umani, Volker Türk, ha chiesto il pieno rispetto della tregua. Secondo l’OHCHR (Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani), nei dieci mesi successivi alla pausa oltre cento civili sono stati uccisi in Libano, in episodi attribuiti a raid aerei o a droni.

La IDF (Forza di difesa israeliana) sostiene di portare avanti operazioni chirurgiche contro infrastrutture e quadri di Hezbollah ritenuti responsabili di violazioni o di tentativi di ricostruzione militare, inclusi depositi e siti sotterranei per droni. Nelle comunicazioni ufficiali, gli attacchi servirebbero a prevenire nuovi lanci e a far rispettare gli accordi della tregua, tra cui l’assenza di presenze armate a sud del fiume Litani. Nel 2025, Gerusalemme ha rivendicato diverse azioni nel Sud e nella Bekaa, mentre i droni hanno continuato a essere occhi e, quando deciso dalla IDF, anche braccio armato.

Per Hezbollah, il Sud del Libano resta insieme bastione e vulnerabilità. La tregua ha imposto una riduzione della visibilità al confine, ma restano reti, depositi e quadri locali, così come l’obiettivo di ricostituire capacità missilistiche e di droni. La narrativa israeliana insiste sul rischio di un riarmo nascosto; quella del movimento sciita denuncia violazioni della sovranità libanese e parla di resistenza. In mezzo ci sono i residenti, stretti tra due retoriche, costretti a negoziare ogni giorno la sopravvivenza sotto un cielo che non concede tregua.

Da Tiro a Bint Jbeil, la vita quotidiana si adatta al ronzio. Le scuole modificano gli orari con breve preavviso. Quando i droni scendono di quota o le esplosioni si avvicinano, i bus si fermano, le lezioni vengono sospese, le aule si svuotano. Alcuni istituti hanno allestito stanze interne come rifugi, ma la protezione contro munizionamenti leggeri lanciati da UAV è limitata. L’effetto cumulativo di interruzioni e paura pesa su attenzione, apprendimento e frequenza.

Negli ospedali del Sud, interventi non urgenti vengono rinviati se i sorvoli si intensificano. Le ambulanze attendono finestre di calma per attraversare strade esposte. Non è solo la probabilità di essere colpiti, ma l’incertezza. Un drone che segue un veicolo può indicare semplice osservazione o l’inizio di un attacco contro un passeggero sospettato. Questa ambiguità induce all’autolimitazione: talvolta protegge, altre volte mette a rischio.

Anche l’economia segue il ritmo delle eliche. Gli agricoltori rinviano la raccolta di olive e tabacco, evitano i terrazzamenti più esposti, ridisegnano l’irrigazione. I mercati all’aperto riducono gli orari o si spostano sotto coperture improvvisate. La perdita di reddito è concreta: meno ore di lavoro, più rischi logistici, trasporti interrotti, clienti che preferiscono comprare altrove nelle giornate considerate pericolose. In un Sud già provato dalla crisi finanziaria libanese, l’insicurezza rafforza una spirale che spinge chi può a spostare famiglie e risparmi, mentre chi resta si indebita o accetta aiuti che spesso comportano fedeltà politiche.

La paura non riguarda solo l’esplosione, ma anche lo sguardo. Fotocamere, sensori e sistemi di analisi a bordo dei droni alimentano il timore di una raccolta massiva di dati personali, dai volti alle abitudini quotidiane. In almeno un episodio riportato dalla stampa locale, un residente ha raccontato di aver ricevuto un messaggio intimidatorio da un drone, un avvertimento a cambiare comportamento. È un uso ibrido dello strumento, che unisce sorveglianza e pressione diretta.

Nonostante la tregua, gli attacchi non si sono fermati. Nel 2025 si sono susseguiti raid con droni in diverse aree del Sud, in alcuni casi con vittime civili. Il 21 settembre 2025, uno strike a Bint Jbeil ha ucciso cinque persone, tra cui tre bambini. L’OHCHR ha chiesto indagini indipendenti. Durante l’estate, UAV hanno colpito veicoli e abitazioni nel distretto di Bint Jbeil e nell’area di Shebaa. Israele ha ribadito di mirare a membri o infrastrutture di Hezbollah, ma la vicinanza tra obiettivi militari e popolazione civile in territori densamente abitati ha prodotto ripetuti danni collaterali.

Lungo la cosiddetta linea blu, UNIFIL ha segnalato un aumento dei rischi operativi legati alla presenza dei droni. Il 3 settembre 2025, quattro granate sono cadute vicino a caschi blu impegnati a rimuovere ostacoli stradali. Pochi giorni dopo, un UAV è precipitato sul quartier generale di Naqoura. La missione ha parlato di violazioni gravi del mandato e del diritto internazionale, sospendendo temporaneamente alcune attività.

Sul piano legale, la Risoluzione 1701 dell’ONU e gli accordi della tregua del 2024 definiscono limiti chiari su sorvoli e uso della forza, ma la pratica ha aperto ampie zone grigie. Israele richiama presunte violazioni di Hezbollah, dalla presenza armata a sud del Litani alla ricostruzione di capacità UAV. Beirut denuncia violazioni della sovranità nazionale e attacchi quasi quotidiani. Nel 2025, agenzie e media internazionali hanno contato decine di episodi aerei attribuiti a Israele nel Sud e nella Bekaa, inclusi colpi su presunti siti sotterranei di droni e depositi nell’area di Beirut sud. Le pressioni diplomatiche per consolidare la tregua si scontrano con l’assenza di progressi sul disarmo e con la valutazione israeliana che considera Hezbollah ancora in grado di colpire.

Medici e operatori locali descrivono un disagio diffuso e persistente. Insonnia, ipervigilanza, ansia anticipatoria. I bambini imparano a distinguere un ronzio lontano da uno vicino, come altrove si riconoscono i rumori del traffico. Negli adulti cresce la rinuncia preventiva: visite rimandate, spostamenti ridotti, socialità compressa. Non è la guerra aperta del 2024, ma una guerra intermittente il cui segnale acustico è sempre presente.

Molti abitanti del Sud affermano che restare è già una scelta politica. Non abbandonare le case, mantenere le reti sociali, continuare a lavorare anche a orari spezzati. Ma il costo umano aumenta e chi può manda i figli in città o all’estero. La percezione diffusa è che la strategia dei droni produca più risentimento che deterrenza, irrigidendo identità e fratture.

Alla fine del 2025, il sud del Libano resta un laboratorio di conflitto a bassa intensità. Nessuna offensiva di terra, ma un cielo che non concede pause. Per Israele, i droni sono uno strumento di prevenzione contro Hezbollah. Per chi vive sotto quelle rotte, rappresentano un’insicurezza cronica che restringe le possibilità e scandisce il tempo. Le diplomazie negoziano, la politica discute le clausole della tregua, ma la distanza tra pace e guerra si misura in decibel. Finché quel ronzio resterà sospeso nell’aria, ogni giornata inizierà con la stessa domanda, davanti al forno di Abbasiyeh: si può uscire, adesso?

Fonti: UNIFIL, Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), comunicati ufficiali della Forza di difesa israeliana (IDF), dichiarazioni del Commissario ONU Volker Türk, reportage e verifiche di Reuters, Associated Press, Al Jazeera, The Washington Post, stampa locale libanese.

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