Cerca

Attualità

Ponte chiuso, famiglia isolata. La sicurezza secondo Matteo Chiantore

Due ordinanze alla vigilia di Natale chiudono l’unica strada di accesso a una casa in aperta campagna. Una donna disabile resta isolata, i soccorsi non passano e la sicurezza diventa un alibi amministrativo

Ponte chiuso, famiglia isolata. La sicurezza secondo Matteo Chiantore

Stefania Ferrari

Sembra davvero l’inizio di una barzelletta, di quelle che finiscono con una battuta amara. E invece no, non c’è nulla da ridere. È una storia vera, scritta nero su bianco su due ordinanze comunali, protocollate, firmate digitalmente e pubblicate all’Albo pretorio alla vigilia di Natale. Una storia che parla di una famiglia di fatto reclusa in aperta campagna, alla periferia di Ivrea, frazione Torre Balfredo, via Cigliano, dove l’unica strada di accesso passa sopra un piccolo ponte in mattoni, il ponte “Bruschetta”, che attraversa il canale della Coutenza Cavour.

Un ponticello anonimo, almeno fino all'altro ieri, quando è stato improvvisamente catapultato al centro di una vicenda che ha il sapore dell’assurdo e il retrogusto amaro dell’irresponsabilità istituzionale.

Alla vigilia di Natale 2025 succede questo: Matteo Chiantore, sindaco di Ivrea, e Venerina Tezzon, sindaca di Albiano d’Ivrea, firmano in contemporanea due ordinanze gemelle.

Stesso oggetto, stesso sopralluogo effettuato il giorno prima, stesso linguaggio prudente e burocratico. Il ponte presenta un “parziale cedimento del manto stradale” e quindi, per la sempre evocata “tutela dell’incolumità pubblica”, scatta il divieto immediato e assoluto di transito, veicolare e pedonale, “sino al perdurare dello stato di necessità”.

Fine. Transenne, sbarre, strada chiusa. Nessuna distinzione, nessuna deroga, nessuna alternativa.

Il problema, enorme, è che oltre quel ponte non c’è una scorciatoia, non c’è un’altra via, non c’è un percorso secondario. C’è una casa. Anzi, una cascina abitata da una famiglia di tre persone. Ci vivono Stefania Ferrari, Luigi Marcello Quagliotti e il loro figlio. Stefania ha 52 anni ed è affetta da una grave fibromialgia agli arti inferiori, una patologia degenerativa. Ha un’invalidità civile riconosciuta al 75 per cento, si muove in sedia a rotelle, in casa usa girello e bastone. Non è un dettaglio. È il nocciolo della vicenda, quello che nelle ordinanze non compare nemmeno di striscio.

“Per arrivare a casa mia - racconta Stefania - bisogna attraversare quel ponticello. Sapevamo che stava cedendo, avevamo informato le autorità. Nessuno era mai intervenuto. Poi, all’improvviso, troviamo le transenne. Io sono disabile, non posso muovermi. Se ho una crisi, come fa la Croce Rossa a venire a prendermi? Come fa la guardia medica ad arrivare?”.

Domande semplici, elementari, che però sembrano non aver trovato spazio nelle valutazioni dei due sindaci. Perché quelle ordinanze parlano di sicurezza in astratto, non di vite concrete. Parlano di “utenza in generale”, non di una donna che usa i pannoloni perché non riesce a muoversi, che ha bisogno di presidi sanitari consegnati a domicilio, che vive in una casa diventata improvvisamente un’isola.

“Mio figlio torna dal lavoro e trova tutto chiuso. Sposta le transenne e infrange la legge per andare a lavorare. Mio marito va dai carabinieri a fare denuncia, ma per tornare a casa deve a sua volta violare l’ordinanza”, racconta Stefania con una lucidità che fa più male di qualsiasi slogan sulla legalità.

Da quel momento, sulla carta, quella famiglia non dovrebbe più ricevere la posta. Il postino non può passare. I corrieri non possono consegnare. La raccolta dei rifiuti non può avvenire. Se serve un’ambulanza, si fermerà prima del ponticello.

Morale? Di fronte alla denuncia la polizia locale ha preso atto e alzato le braccia al cielo. La segnalazione è arrivata anche ai carabinieri.

“Mi sento sequestrata in mezzo al verde”, commenta Stefania. “Ci sono strade bianche, ma sono impraticabili. Cosa devo fare, prendere la canoa sul Chiusella?”. Una battuta che non fa ridere, perché dietro c’è la paura vera di restare senza soccorsi.

A rendere ancora più pesante il quadro c’è un esposto.

“Il cedimento non nasce oggi - si legge - Si è formato nel tempo. Nessuno ha mai controllato quando avrebbe dovuto farlo. Poi, su nostra segnalazione, vanno a vedere e decidono di chiudere tutto in un giorno, senza una perizia tecnica, senza avvisare nessuno. Così si lavano le mani da ogni responsabilità”.

Insomma, altro che prevenzione. Qui si chiude per non rispondere, per evitare grane, per scaricare il peso di anni di inerzia su chi non ha alcuna colpa.

la strada

as

Nel ricorso in autotutela inviato ai due sindaci, nero su bianco alcuni concetti chiari.

"La chiusura totale dell’unica via di accesso è sproporzionata, irragionevole, priva di una vera istruttoria. Viola il diritto di accesso alla proprietà, comprime il diritto alla salute di una persona disabile, non prevede soluzioni alternative, non indica tempi certi, non si fonda su una perizia tecnica seria...".

Parole pesanti, ma difficili da smentire.

Ed è qui che la questione smette di essere solo tecnica e diventa politica. Perché Matteo Chiantore e Venerina Tezzon non sono semplici funzionari. Sono sindaci. Hanno firmato due ordinanze che, di fatto, isolano una famiglia, ignorano una disabilità grave e trasformano una strada pubblica in una linea di confine invalicabile. Nessuna deroga, nessuna eccezione, nessuna soluzione temporanea. Solo transenne. Come se bastasse invocare la sicurezza per sentirsi assolti da tutto il resto.

E allora la barzelletta finisce davvero, senza risate. Con una famiglia che a Natale si è ritrovata isolata non per una calamità naturale, ma per un’ordinanza. E con una domanda che resta sospesa sopra quel ponticello transennato: questa è davvero l’idea di sicurezza che le istituzioni locali sono in grado di offrire?

ivrea

ivrea

alban

a

La sicurezza...

A pensarci bene, bisognerebbe ringraziare. Perché non capita spesso di vedere le istituzioni lavorare in modo così lineare, coerente, privo di inutili ripensamenti. C’è un ponte che potrebbe essere pericoloso? Lo si chiude. C’è una famiglia che vive dall’altra parte? Pazienza. La sicurezza, si sa, non ama le eccezioni.

Anzi, l’eccezione è proprio il problema. Perché se si comincia a considerare chi abita oltre il ponte, poi bisogna considerare anche come ci arriva l’ambulanza, come passa il postino, come rientra chi lavora. Un attimo e ci si ritrova a governare la realtà. Molto meglio governare la carta.

Il ponte, in fondo, è solo un simbolo. Un tempo serviva a collegare, ma oggi ha una funzione più moderna: dimostrare che qualcuno ha deciso. E ha deciso in modo netto. Senza tentennamenti, senza soluzioni creative, senza quelle fastidiose domande che iniziano con “e se…”. Vietato è una parola splendida. Chiara, definitiva, rassicurante.

Certo, qualcuno potrebbe far notare che il problema non è nato ieri. Che il cedimento era noto da tempo. Che forse una manutenzione preventiva avrebbe evitato tutto questo. Ma sono osservazioni ingenerose. La vera efficienza sta nell’intervenire quando ormai non resta che chiudere. È lì che l’amministrazione dà il meglio di sé.

E poi c’è l’aspetto educativo, che non va sottovalutato. Il cittadino impara che la casa non è un diritto garantito, ma una variabile dipendente dall’ordinanza. Che l’accesso non è scontato. Che la mobilità è una concessione revocabile. È una lezione severa, ma formativa. Cresce il senso civico, o almeno la rassegnazione.

Quanto ai soccorsi, bisogna essere moderni. L’ambulanza è una soluzione antiquata. Oggi si punta sull’adattabilità del cittadino. Se non passa, non passa. In compenso, la sicurezza è salva. E se la sicurezza è salva, tutto il resto può aspettare. Anche parecchio.

In questo quadro, la transenna diventa l’oggetto politico perfetto. Non parla, non promette, non spiega. Sta lì. Impossibile aggirarla senza sentirsi in colpa. È la forma più pura di governo: impedire, senza dover convincere.

Così il ponte resta chiuso, immobile, irreprensibile. Dall’altra parte c’è una famiglia che aspetta, ma aspettare è una virtù. Lo è sempre stata, soprattutto per chi non decide. E alla fine la morale è semplice e confortante: meglio essere isolati che insicuri. Meglio soli che responsabili.

È una grande lezione di amministrazione. E anche di stile.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori