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Tragedia a scuola, 14enne si suicida: “Protocollo antibullismo non attivato”

Gli ispettori del MIM parlano di segnali ignorati e chiedono tre procedimenti disciplinari

Tragedia a scuola, 14enne si suicida: “Protocollo antibullismo non attivato”

Tragedia a scuola, 14enne si suicida: “Protocollo antibullismo non attivato”

L’11 settembre 2025 Paolo Mendico muore nella sua cameretta a Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina. Aveva 14 anni, suonava il basso elettrico, amava la pesca, portava i capelli lunghi. Il giorno dopo sarebbe tornato a scuola. Non ci è arrivato. Da allora una domanda pesa su un paese intero: la scuola poteva intervenire prima? La risposta degli ispettori del Ministero dell’Istruzione e del Merito è netta: . E non è un’opinione, ma una conclusione scritta nero su bianco in una relazione ispettiva che parla di protocolli non attivati, segnali ignorati e condotte omissive.

Secondo il fascicolo ministeriale, la succursale dell’Iti “Antonio Pacinotti” di Fondi, frequentata da Paolo, era inserita in un contesto noto: una classe definita “turbolenta”, con comportamenti non conformi al regolamento e atteggiamenti descritti come “quasi aggressivi”. Elementi che, da soli, avrebbero imposto l’attivazione del protocollo antibullismo, indipendentemente dal fatto che quegli episodi fossero stati formalmente qualificati come “bullismo” in senso giuridico. È questo uno dei passaggi chiave della relazione: l’obbligo di agire scatta sui segnali, non sull’etichetta.

Gli ispettori rilevano anche una frattura tra ciò che la scuola aveva messo per iscritto nei verbali dei consigli di classe durante l’anno e quanto sostenuto da alcuni docenti dopo la tragedia. La relazione parla esplicitamente di un “meccanismo difensivo” attivato dall’istituto nelle fasi successive alla morte del ragazzo, ritenendo più attendibili gli atti prodotti in corso d’opera rispetto alle ricostruzioni ex post. È su questa base che il Ministero ha chiesto l’avvio di tre procedimenti disciplinari: uno a carico della dirigente scolastica, uno della vicedirigente e uno della responsabile della succursale, per presunte omissioni legate alla funzione. L’Ufficio scolastico regionale del Lazio ha confermato l’iter, ricordando che seguirà i tempi previsti dalla legge.

Fin dall’inizio, la famiglia di Paolo ha indicato un filo conduttore preciso: soprannomi offensivi, prese in giro legate ai capelli lunghi, derisioni quotidiane che avrebbero isolato il ragazzo. “Paoletta”, “femminuccia”, accostamenti umilianti: dettagli che tornano nelle testimonianze e che, secondo i genitori, sarebbero stati più volte segnalati alla scuola senza ottenere una presa in carico adeguata. L’istituto ha a lungo respinto questa versione, sostenendo di non aver ricevuto denunce formali e richiamando l’esistenza di uno sportello psicologico. Ma la relazione ispettiva sposta il baricentro: la scuola non può attendere una querela per attivare misure di tutela quando emergono dinamiche di rischio.

Sul piano giudiziario, intanto, le indagini procedono su due binari distinti. La Procura dei Minori di Roma e la Procura di Cassino hanno iscritto nel registro quattro compagni di classe per istigazione al suicidio, un atto dovuto e garantista che non equivale a una condanna. Le famiglie dei ragazzi respingono le accuse; saranno gli inquirenti a valutare responsabilità individuali e nessi causali. Ma il punto sollevato dal Ministero è un altro e riguarda la responsabilità organizzativa della scuola: chi doveva vedere, quando, e cosa doveva fare.

La relazione individua falle precise. Già dal dicembre 2024 i verbali parlano di problemi disciplinari strutturali. Non episodi isolati, ma un contesto che avrebbe richiesto una valutazione del rischio, l’attivazione di un team antibullismo, il coinvolgimento delle famiglie, un monitoraggio documentato. Nulla di tutto questo risulta essere stato messo in campo in modo sistematico. E quando, dopo la morte di Paolo, la macchina amministrativa si è mossa, lo ha fatto — secondo gli ispettori — più per difendersi che per chiarire.

Il quadro normativo, del resto, non lascia margini di ambiguità. La Legge 71/2017 e le Linee di orientamento aggiornate nel 2021 impongono a ogni istituto di dotarsi di procedure chiare, di un docente referente, di team dedicati e di azioni su più livelli: prevenzione universale, interventi mirati, gestione delle emergenze. Non moduli da archiviare, ma processi da attivare. Parlare di protocollo antibullismo non significa esibire un documento, ma rilevare segnali, valutarli in modo collegiale, prendere in carico i ragazzi e scrivere ciò che si fa, perché sia verificabile.

In questo senso, il nodo non è stabilire se ogni singolo episodio rientrasse nella definizione tecnica di bullismo, che richiede anche il requisito della ripetitività. Lo stesso fascicolo ministeriale lo chiarisce: anche comportamenti aggressivi non ancora “qualificati” impongono un intervento. La prevenzione serve proprio a evitare che una somma di gesti “minori” diventi una ferita irreversibile.

Dopo la morte di Paolo, la comunità si è spaccata tra dolore, voci incontrollate, chat di genitori, accuse incrociate. In questo clima, la relazione ispettiva pesa perché non nasce dal sentito dire, ma dall’analisi di documenti ufficiali, audizioni, atti interni. E il suo verdetto è difficile da eludere: la scuola doveva fare di più e prima.

Resta, infine, un dato che va oltre questo caso. Gli adolescenti che subiscono derisioni legate all’aspetto fisico spesso non parlano o lo fanno quando è troppo tardi. La scuola è il luogo dove passano più tempo, ed è lì che devono trovare adulti capaci di vedere, regole applicate, responsabilità chiare. Le norme esistono, i corsi di formazione anche. Senza accountability, però, restano carta.

Mentre le procure continuano il loro lavoro e il Ministero avvia i procedimenti disciplinari, il Paese deve ai suoi ragazzi qualcosa di più di una commemorazione. Deve scuole dove un quattordicenne con i capelli lunghi non diventa un bersaglio, ma resta un compagno. Dove i protocolli scattano davvero e non restano nei cassetti. Paolo amava la musica e la pesca. A settembre avrebbe dovuto sentire solo una campanella, non il peso di restare solo.

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