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28 Dicembre 2025 - 10:31
Rubiamo ore al sonno e le paghiamo con gli anni di vita: ecco perché dormire poco uccide lentamente
Dormire poco non è solo una cattiva abitudine, né un fastidio da compensare con il caffè al mattino. È un fattore di rischio concreto, misurabile, e sorprendentemente potente. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica SLEEP Advances, dormire meno di sette ore per notte riduce l’aspettativa di vita in modo paragonabile a comportamenti notoriamente dannosi come il fumo o l’obesità. Un dato che sposta il sonno dal campo del benessere soggettivo a quello, ben più serio, della salute pubblica.
La relazione tra qualità del sonno e salute è da tempo oggetto di studi, ma questa analisi aggiunge un tassello rilevante perché quantifica l’impatto della deprivazione di sonno sulla durata della vita, indipendentemente da fattori come reddito, contesto sociale o area geografica. In altre parole, dormire poco fa male a tutti, ovunque, senza distinzioni.
Lo studio si basa su un’enorme mole di dati raccolti negli Stati Uniti tra il 2019 e il 2025, coinvolgendo oltre 3.000 contee. I ricercatori hanno incrociato l’aspettativa di vita media di ciascun territorio con le ore di sonno dichiarate dagli abitanti, rilevate attraverso interviste telefoniche. Il risultato è stato netto: le aree in cui la popolazione dormiva meno di sette ore a notte erano anche quelle in cui si viveva meno a lungo.
Nel confronto con altri fattori di rischio analizzati, il sonno insufficiente è emerso come uno dei più forti predittori di ridotta aspettativa di vita. Peggio hanno fatto solo fumo e obesità, mentre dormire poco si è rivelato più impattante di condizioni come diabete o inattività fisica. Un dato che ribalta molte gerarchie consolidate e costringe a riconsiderare il modo in cui il sonno viene percepito nella vita quotidiana.

Il messaggio è chiaro: dormire non è tempo perso, né una pausa sacrificabile sull’altare della produttività. È una funzione biologica essenziale, al pari dell’alimentazione o dell’attività fisica. E quando viene sistematicamente ridotta, il corpo presenta il conto, spesso in modo silenzioso e progressivo.
Il dato diventa ancora più significativo se si guarda alla situazione europea e italiana. Secondo uno studio del 2020, in Italia circa una persona su tre dorme meno di sette ore a notte. Una quota enorme di popolazione che, senza saperlo, convive con un fattore di rischio strutturale. Turni di lavoro irregolari, uso serale di dispositivi elettronici, stress cronico, difficoltà economiche e ritmi sociali sempre più accelerati contribuiscono a erodere il tempo dedicato al riposo.
Va detto che la ricerca presenta alcune limitazioni, come riconoscono gli stessi autori. Le ore di sonno non sono state misurate con strumenti oggettivi, ma riferite direttamente dai partecipanti, con tutti i margini di errore che questo comporta. Inoltre, non è stata fatta una distinzione tra chi dorme sette ore e chi ne dorme molte di più, quando altri studi suggeriscono che anche il sonno eccessivo può essere associato a esiti negativi per la salute.
Non sono state poi analizzate nel dettaglio le cause del sonno insufficiente. Disturbi come le apnee notturne, problemi di salute mentale, condizioni lavorative particolarmente gravose o scelte personali possono incidere in modo diverso sulla qualità del riposo e sulle sue conseguenze. Infine, il periodo osservato include anche gli anni della pandemia, che ha alterato profondamente stili di vita, stress e abitudini di sonno. Tuttavia, gli autori sottolineano che le stesse associazioni tra poco sonno e ridotta aspettativa di vita erano presenti anche negli anni non pandemici.
Pur con questi limiti, il quadro che emerge è coerente con una vasta letteratura scientifica. La deprivazione cronica di sonno è associata a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, ipertensione, disturbi metabolici, declino cognitivo e problemi immunitari. Studi precedenti hanno mostrato come l’insonnia cronica possa aumentare fino al 40% il rischio di sviluppare un deterioramento cognitivo nel corso della vita.
Ciò che rende il sonno un fattore particolarmente rilevante è però un altro aspetto: a differenza di elementi come la genetica o alcune condizioni ambientali, le abitudini di sonno sono, almeno in parte, modificabili. Migliorare la qualità del riposo, andare a dormire prima, ridurre l’esposizione a schermi luminosi la sera, rispettare orari regolari non sono soluzioni miracolose, ma possono produrre benefici reali e misurabili nel tempo.
Il problema è culturale prima ancora che medico. In molte società moderne, dormire poco è diventato un segno di dedizione, efficienza, successo. Chi sacrifica il sonno per lavorare di più o essere sempre disponibile viene spesso premiato. Ma la scienza racconta un’altra storia: quella di un corpo che, privato del riposo necessario, invecchia più in fretta e si ammala di più.
Alla luce di questi dati, il sonno smette di essere una questione privata e diventa un tema di sanità pubblica. Investire in politiche che favoriscano ritmi di vita sostenibili, orari di lavoro più equilibrati e una maggiore educazione al sonno potrebbe avere un impatto sulla salute collettiva non meno rilevante delle campagne contro il fumo o per una corretta alimentazione.
Dormire di più, e meglio, non è un lusso. È una scelta che può letteralmente allungare la vita.
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