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28 Dicembre 2025 - 00:27
Vogliamo la pace. La lettera a Mattarella e Meloni dei bambini della classe 4ª della Scuola primaria “Don Milani” di Ivrea
Ci sono parole che arrivano dritte allo stomaco, senza chiedere permesso. Parole che non hanno bisogno di essere spiegate, commentate, interpretate. Parole che fanno male perché sono vere. E poi ci sono parole che fanno ancora più male perché non dovrebbero nemmeno esistere. Quelle pronunciate dai bambini quando parlano di guerra.
Questa non è una lettera qualunque. Questo non è un tema scolastico. Questo non è un esercizio di educazione civica. Questo è un grido. È un pianto scritto con la calligrafia incerta di chi ha otto, nove anni. È la voce delle bambine e dei bambini della classe 4ª della Scuola primaria “Don Milani” di Ivrea, che il 21 novembre 2025 hanno deciso di fare quello che molti adulti non fanno più: guardare il mondo e dire che così non va.
Scrivono ai potenti, ai governanti, ai presidenti, ai capi di Stato. Scrivono ai giornalisti. Scrivono agli adulti. Scrivono a noi. E lo fanno con una semplicità che disarma. “Ci sono talmente tante guerre che è difficile fermarle. Voi grandi siete troppo concentrati sulle guerre e poco sulla pace.” Non urlano. Non insultano. Non fanno propaganda. Dicono solo la verità. Quella che fa più paura.

Ogni giorno accendono la televisione e vedono bambini come loro morire sotto le bombe. Vedono case distrutte, scuole rase al suolo, città trasformate in macerie. Vedono madri piangere davanti a muri che non esistono più. Vedono bambini piangere perché sono diventati orfani. E lo scrivono così, senza filtri: “La guerra è una cosa sporca. Non è un gioco.”Lo sanno loro. Possibile che non lo sappiano i grandi?
In classe hanno colorato un planisfero. Rosso dove c’è la guerra, giallo dove il conflitto è basso, arancione dove è medio, arancione scuro dove è forte. Alla fine quasi tutto il mondo è colorato. “Noi lo vorremmo tutto bianco.” Bianco come un foglio nuovo. Bianco come una pace che non c’è. Sognano una gomma magica per cancellare le guerre. Noi adulti, invece, non riusciamo nemmeno a cancellare l’ipocrisia.
Chiedono al maestro perché esistono le guerre. Lui prova a spiegare. Stati che invadono altri Stati, conflitti interni, terrorismo, bande armate. Ma loro non capiscono. E hanno ragione a non capire. “Per noi bambini non ci sarà mai un motivo valido per fare la guerra.” È una frase che dovrebbe essere incisa sulle pareti dei palazzi del potere. E invece resta chiusa in un quaderno.
Guardano le foto dell’Ucraina, di Gaza, del Sudan, del Myanmar. E dalle loro bocche escono parole pesantissime: povertà, macerie, fame, solitudine, paura, scuole distrutte. Bambini soli. Bambini senza casa. Bambini senza acqua. Bambini senza futuro. E poi la frase che fa più male di tutte: “Voi governanti state uccidendo bambini e famiglie.” Non lo dice un oppositore politico. Non lo dice un attivista. Lo dicono dei bambini di Ivrea.
Raccontano di Anna, una bambina ucraina ospitata da una loro compagna di classe. Quando giocava, rideva. Per un po’ la guerra spariva. È bastato un gioco per restituirle un sorriso. E noi, con tutti i nostri eserciti, non riusciamo a restituire la pace.
Hanno letto l’articolo 11 della Costituzione italiana. Hanno cercato sul dizionario la parola “ripudia”. Hanno capito che significa rifiutare la guerra. L’hanno capito loro. E allora perché chi governa fa finta di non sapere? Hanno letto la Dichiarazione dei diritti del fanciullo. E hanno capito un’altra cosa semplice e devastante: nessun diritto dei bambini entra nella guerra. Nessuno.
Scrivono che vivere in guerra non è bello. Vivere in pace è “più che bellissimo”. Dicono che tutti i bambini del mondo vogliono la pace: ucraini, russi, palestinesi, israeliani, africani. Tutti. Senza bandiere. Senza confini. Senza odio. Solo bambini.
Si definiscono piccoli colibrì. Come nella storia africana: una goccia d’acqua alla volta per spegnere un incendio. Gli adulti ridevano. Poi hanno capito. E insieme hanno spento il fuoco. Loro la loro goccia l’hanno portata. “Noi facciamo tutto quello che possiamo. Ma voi?” È una domanda che pesa come una condanna.
Chiedono a Sergio Mattarella di convincere i potenti a fermare gli eserciti. Chiedono a Giorgia Meloni e al Parlamento di smettere di vendere armi. Chiedono a Vladimir Putin di fermarsi. Chiedono a Volodymyr Zelens’kyj di cercare un accordo. Chiedono all’ONU di smetterla con le guerre che arricchiscono pochi e impoveriscono molti. Chiedono a Benjamin Netanyahu di smettere di uccidere palestinesi innocenti. Chiedono al Papa di diffondere parole di pace, non elmetti. Chiedono ai giornalisti di parlare di pace e di dare voce ai bambini. Chiedono agli adulti di ascoltare.
Non chiedono vendetta. Non chiedono potere. Non chiedono denaro. Chiedono solo una cosa: pace.
E allora sì, viene da piangere. Perché queste parole non arrivano da un palazzo, ma da un’aula scolastica. Perché chi dovrebbe proteggere l’infanzia spesso la tradisce. Perché mentre i bambini scrivono lettere, gli adulti firmano contratti per le armi. Perché mentre loro colorano il mondo di bianco, noi continuiamo a colorarlo di rosso.
Questa lettera non dovrebbe finire in un cassetto. Dovrebbe essere letta ad alta voce, ovunque. Perché se non ascoltiamo i bambini, non stiamo solo perdendo la pace. Stiamo perdendo l’umanità.
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