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27 Dicembre 2025 - 09:50
Abdirahman Mohamed Abdullahi
Una folla in festa sulla spianata di Hargeisa agita il tricolore con la stella bianca. A quasi mille chilometri più a sud, nei ministeri di Mogadiscio, i telefoni squillano senza sosta davanti a cartine dove il nord resta colorato entro i confini della Somalia “una e indivisibile”. Nelle stesse ore, su uno smartphone, circola un video: Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele, si congratula con il neo presidente di Somaliland, Abdirahman Mohamed Abdullahi, detto “Irro”, e lo invita a visitare Israele. È il segnale pubblico di una scelta che cambia il quadro regionale: il 26 dicembre 2025 Israele diventa il primo Paese al mondo a riconoscere ufficialmente Somaliland come Stato indipendente e sovrano. Mogadiscio risponde parlando di “attacco deliberato alla sovranità”. Le capitali vicine, da Gibuti al Cairo, da Ankara all’Unione Africana, condannano. In mezzo ci sono gli Accordi di Abramo, il traffico marittimo del Golfo di Aden, la memoria del 1991 e il rischio che la frattura del Corno d’Africa si allarghi.

Benjamin Netanyahu
La decisione israeliana viene formalizzata con un annuncio coordinato tra l’Ufficio del Primo Ministro di Israele e il Ministero degli Esteri di Israele. Gerusalemme parla di “piena instaurazione” di relazioni bilaterali con Somaliland, che comprende l’apertura di ambasciate, lo scambio di ambasciatori e la cooperazione in settori come agricoltura, tecnologie idriche, sanità e sicurezza. La dichiarazione, definita “nello spirito degli Accordi di Abramo”, viene siglata in collegamento video tra Netanyahu e Abdirahman Mohamed Abdullahi. Da Hargeisa arriva la disponibilità ad aderire agli stessi accordi. È il primo riconoscimento internazionale per una regione che dal 1991 opera come entità di fatto separata, con istituzioni proprie, ma finora esclusa dalla comunità degli Stati membri delle Nazioni Unite (ONU).
Secondo fonti israeliane e di Hargeisa, il pacchetto di intese include canali prioritari su innovazione agricola, gestione delle risorse idriche, sanità e sicurezza marittima nel Golfo di Aden, uno snodo essenziale per le rotte che collegano il Canale di Suez all’Oceano Indiano. Per Israele la proiezione verso il Mar Rosso meridionale ha un valore strategico. Per Somaliland si tratta della prima vera apertura verso una normalizzazione diplomatica e verso investimenti esteri.
La reazione del Governo federale della Somalia è immediata e dura. La mossa viene definita “illegale, nulla e priva di effetti”, richiamando la Costituzione provvisoria somala e un principio cardine del diritto internazionale: il rispetto della sovranità, dell’unità e dell’integrità territoriale degli Stati. Mogadiscio annuncia iniziative diplomatiche, politiche e legali e avverte che nessun attore esterno ha l’autorità di modificare i confini somali. Sullo sfondo c’è un timore esplicito: l’ingresso della conflittualità mediorientale nei fragili equilibri del Corno d’Africa e la possibilità che gruppi jihadisti come al-Shabaab sfruttino una nuova fase di instabilità.
Questa posizione si inserisce in una storia lunga. Dopo il collasso dello Stato somalo, Somaliland proclamò l’indipendenza nel 1991 entro i confini dell’ex Protettorato britannico della Somalia. Da allora ha costruito istituzioni, una moneta, forze di sicurezza e un sistema politico che ha organizzato elezioni competitive. Per Mogadiscio, però, resta una parte integrante della Repubblica Federale di Somalia.
Alla protesta somala si uniscono, con toni diversi, Egitto, Turchia, Gibuti e l’Unione Africana (UA). Il Ministero degli Esteri dell’Egitto rende nota una telefonata quadripartita tra i capi delle diplomazie di Il Cairo, Ankara, Mogadiscio e Gibuti, conclusa con la condanna della decisione israeliana e con il riaffermato sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale della Somalia. Ankara, alleato centrale di Mogadiscio, definisce l’iniziativa “illegale” e parla di interferenza palese negli affari interni somali. Gibuti, snodo strategico sullo Stretto di Bab el-Mandeb, esprime preoccupazione per un precedente che potrebbe minare la stabilità regionale.
La Commissione dell’Unione Africana diffonde una presa di posizione formale: nessun riconoscimento di Somaliland è accettabile. Viene ribadito il principio dell’intangibilità dei confini ereditati all’indipendenza, sancito nel 1964 dall’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), e la solidarietà con l’unità e la sovranità della Somalia. È un messaggio che parla all’intero continente, perché aprire il dossier somalilandese senza un percorso condiviso rischia di creare un precedente per altre rivendicazioni secessioniste. Le reazioni vanno oltre l’Africa: il Consiglio di Cooperazione del Golfo e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) diffondono note di rigetto, richiamando il rischio di destabilizzazione del Corno d’Africa.
Da Washington arriva invece una risposta prudente. Secondo quanto riportato dalla stampa statunitense, il presidente Donald Trump dichiara di non essere pronto a seguire Israele su Somaliland, definendo la questione complessa e subordinando ogni valutazione ad altre priorità negoziali, a partire da Gaza. È un segnale di distanza tattica che, almeno nel breve periodo, ridimensiona le aspettative di Hargeisa su un possibile effetto domino.
La tempistica della mossa israeliana si spiega anche con il fattore marittimo. Il Golfo di Aden è una delle arterie più sensibili del commercio globale. A Berbera, il gruppo emiratino DP World gestisce un terminal portuale in espansione, con investimenti annunciati fino a 442 milioni di dollari, pensati per aumentare capacità e connettività. Un Somaliland riconosciuto offrirebbe un perno logistico tra Africa orientale, Penisola Arabica e Mar Rosso. C’è poi la competizione regionale: nel gennaio 2024 Etiopia e Somaliland hanno firmato un Memorandum d’Intesa su accesso al mare e possibile riconoscimento, scatenando la dura reazione di Mogadiscio. Anche se quell’intesa resta controversa, ha reso evidente il valore strategico della costa somala per Stati senza sbocco al mare come Addis Abeba. Per Israele, infine, il riconoscimento rafforza una rete di relazioni nel quadrante del Mar Rosso coerente con l’architettura degli Accordi di Abramo, incentrata su sicurezza marittima e cooperazione tecnica.
Oggi Somaliland controlla la porzione nord-occidentale dell’ex Somalia britannica, con capitale Hargeisa. Dispone di valuta propria, passaporti, forze di sicurezza e di un sistema politico basato su un numero limitato di partiti nazionali. Le elezioni presidenziali del 13 novembre 2024 hanno visto la vittoria dell’oppositore Abdirahman Mohamed Abdullahi, leader del partito Waddani, con oltre il 63 per cento dei voti e un’affluenza attorno al 53 per cento, segnando un cambio di potere rispetto al presidente uscente Muse Bihi Abdi. Restano però episodi di tensione, dal conflitto a Las Anod alle restrizioni civili, che mostrano come la stabilità sia ancora un obiettivo da consolidare.
Sul piano giuridico lo scontro resta aperto. Per Mogadiscio e per l’Unione Africana, l’unità somala è tutelata dal diritto internazionale e dalla dottrina africana dell’intangibilità dei confini coloniali. Ne deriva che un riconoscimento unilaterale di Somaliland violerebbe la Carta delle Nazioni Unite e l’Atto Costitutivo dell’Unione Africana. I sostenitori di Hargeisa richiamano invece il concetto di secessione rimediale: lo Stato somalo sarebbe collassato da oltre trent’anni e Somaliland avrebbe costruito istituzioni funzionanti e pratiche elettorali regolari. Il riconoscimento israeliano non risolve questo conflitto di principi, ma lo porta al centro della scena internazionale.
I rischi per il Corno d’Africa sono evidenti. Una crisi di legittimità in Somalia potrebbe riaccendere rivalità tra Stati federali e governo centrale e offrire spazi a al-Shabaab. Sul piano regionale, Egitto e Turchia hanno interessi diretti nel Mar Rosso, mentre Gibuti vigila su Bab el-Mandeb. Una frattura prolungata aumenterebbe la militarizzazione delle rotte marittime in una fase già segnata da tensioni croniche. Al tempo stesso, se altri Paesi seguissero Israele, Somaliland potrebbe accelerare su infrastrutture e portualità; se invece prevalesse l’isolamento, Hargeisa rischierebbe pressioni economiche e politiche.
L’iniziativa israeliana inserisce così una dimensione mediorientale nel Corno d’Africa. Somaliland parla apertamente di adesione agli Accordi di Abramo, mentre Netanyahu presenta il passo come estensione di un’architettura di cooperazione. Dall’altra parte, Lega Araba, OIC e diversi Stati del Golfo esprimono contrarietà. Nel mezzo, la cautela statunitense riflette i dossier aperti in Medio Oriente.
Resta aperta la domanda centrale: se e quando una secessione di fatto, longeva e relativamente stabile, possa trasformarsi in uno Stato riconosciuto senza compromettere l’ordine regionale. La dottrina africana dei confini ereditati ha garantito una cornice di riferimento, pur con molte fragilità. Al tempo stesso, trent’anni di istituzioni a Hargeisahanno costruito un’identità politica distinta. Il riconoscimento israeliano costringe tutti gli attori, africani, mediorientali e occidentali, a uscire dall’ambiguità, scegliendo tra un rilancio del dialogo tra Mogadiscio e Hargeisa o un irrigidimento delle posizioni. Sul terreno, intanto, le rotte del Golfo di Aden, i cantieri di Berbera e la sicurezza della navigazione diranno se questo atto resterà simbolico o produrrà effetti concreti.
Fonti: Ufficio del Primo Ministro di Israele, Ministero degli Esteri di Israele, Governo federale della Somalia, Commissione dell’Unione Africana, Ministero degli Esteri dell’Egitto, Ministero degli Esteri della Turchia, DP World, Stampa internazionale (Reuters, Associated Press, New York Times, Washington Post).
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