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24 Dicembre 2025 - 15:18
Zelensky
All’ora di pranzo del 23 dicembre 2025, durante una conferenza stampa a Kiev, un passaggio ha cambiato la percezione di un negoziato che tutti si attendevano in chiusura: “Il punto dodici non è chiuso”. A parlare è stato Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, mentre illustrava una versione in 20 punti del progetto di intesa negoziato con gli Stati Uniti d’America e altri partner internazionali per mettere fine alla guerra iniziata con l’invasione russa del 2022. Il documento, che Zelensky ha definito una bozza di accordo-quadro politico, risulterebbe sostanzialmente allineato sulle questioni generali con gli Stati Uniti, fatta eccezione per due nodi centrali: il destino dei territori del Donetsk e la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia.
Secondo le dichiarazioni ufficiali e le ricostruzioni di fonti occidentali, la bozza in 20 punti è il risultato di settimane di trattative successive a una versione iniziale in 28 punti proposta dalla Casa Bianca alla fine di novembre, giudicata inaccettabile da Kiev e oggetto di compressione e revisione. L’obiettivo dichiarato è quello di stabilizzare un cessate il fuoco, predisporre garanzie di sicurezza robuste, disciplinare il ritiro di armamenti pesanti nelle aree contese e avviare una fase di ricostruzione economicamente sostenuta. Tra le idee sul tavolo figurano garanzie di sicurezza in stile “Articolo 5” offerte da Stati Uniti ed Unione Europea, un piano di investimenti di centinaia di miliardi di dollari e la conservazione di una forza armata ucraina di 800.000 effettivi in tempo di pace. Tuttavia, gran parte di questi elementi sono ancora definiti solo “in discussione” o “di principio”, e subordinati all’esito delle trattative politiche sui due punti più controversi.
Zelensky ha detto che su “gran parte” del documento Kiev e Washington sono d’accordo, ma che rimangono aperte le parti più delicate: il regime di Zaporizhzhia Nuclear Power Plant (ZNPP), la più grande centrale nucleare d’Europa sotto controllo russo dall’inizio della guerra, e le linee di frontiera nella regione del Donbass. In sostanza, ha spiegato il presidente ucraino, il quadro tecnico è quasi completo, ma lo scambio politico effettivo non lo è ancora.
Il ritorno degli emissari ucraini da Miami (Florida), dove si sono svolti i colloqui con i rappresentanti della Casa Bianca, è stato descritto come il momento di svolta più concreto finora nei negoziati tra Kiev e Washington. La Florida è diventata uno dei terminali di un negoziato itinerante avviato da Washington, con tavoli separati o paralleli aperti con Kiev, capitali europee e Mosca. Fonti statunitensi e russe hanno confermato contatti tra emissari dell’amministrazione americana e Kirill Dmitriev, inviato del Cremlino, con media statunitensi che parlano di incontri “costruttivi” in vista di una relazione da inviare al presidente russo Vladimir Putin.

Sul versante istituzionale, la Casa Bianca aveva già certificato a Ginevra il 23 novembre 2025 una convergenza “significativa” con la delegazione ucraina sulla cornice generale del negoziato, inclusi il rispetto della sovranità di Kieve una pace che fosse “giusta e sostenibile”. Da quel momento il formato è stato modificato più volte fino alla versione illustrata pubblicamente a Kiev.
Al centro delle trattative resta il Donbass, e in particolare la parte della regione di Donetsk che è ancora contesa. Kievcontinua a respingere l’idea di una cessione di territorio e chiede che qualsiasi schema preveda una zona smilitarizzata con forze internazionali di monitoraggio, un meccanismo di verifica tecnologico lungo la linea di contatto e l’assenza di reparti russi oltre i limiti concordati. Gli Stati Uniti, nel tentativo di aprire un varco diplomatico, avrebbero ipotizzato anche la creazione di una free economic zone nei distretti più sensibili, a condizione di un ritiro simultaneo delle truppe e di un regime neutro per gli investimenti e il controllo civile. Zelensky ha dichiarato di non escludere questa soluzione, ma ha sottolineato che dovrebbe essere approvata da un mandato popolare, ad esempio attraverso un referendum nazionale.
La questione della centrale nucleare di Zaporizhzhia è un altro dei grandi punti di contesa. La struttura sopravvive in condizioni precarie sotto controllo russo, con frequenti interruzioni di alimentazione esterna e continui rischi di sicurezza. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ha ripetutamente invitato tutte le parti a creare una zona di protezione attorno all’impianto e a ripristinare un’alimentazione esterna stabile per evitare rischi di incidente nucleare. Sulla bozza, secondo quanto riferiscono fonti giornalistiche, la parte americana avrebbe proposto un modello di gestione congiunta della centrale tra Ucraina, Stati Uniti e Russia, con quote paritetiche e gestione tecnica affidata a specialisti americani. Kiev considera tale schema impraticabile “dal punto di vista politico e morale” e propone invece una joint venture bilaterale Ucraina–Stati Uniti, in cui Washington sarebbe responsabile di come allocare la propria quota “a favore” della parte russa, evitando un condominio con l’occupante. Il confronto su questo punto avrebbe richiesto sessioni di negoziato anche di 15 ore consecutive.
La posta in gioco non è solo diplomatica: mantenere la centrale sotto un regime che garantisca sicurezza e controllo è visto come fondamentale non solo per l’Ucraina, ma per tutta l’Europa. L’IAEA ha ribadito che la situazione attuale non è sostenibile nel lungo periodo e che nessuna delle parti trarrebbe vantaggio da un incidente nucleare. Per essere credibile, la bozza di 20 punti dovrà tradurre i principi raccomandati dall’Agenzia — accesso, linee ridondanti di alimentazione e esclusione di attività militari nell’area — in obblighi verificabili con meccanismi di sanzione automatici in caso di violazioni.
Le tensioni nel Donbass e il nodo di Zaporizhzhia emergono così come i principali ostacoli che rischiano di tenere bloccato un negoziato considerato cruciale per mettere fine a uno dei conflitti più lunghi e devastanti in Europa nella stagione contemporanea. Bruxelles, Washington e Kiev sembrano vicine a un’intesa generale, ma finché non saranno risolti i capitoli territoriali e nucleari, il testo resterà un piano in elaborazione piuttosto che un accordo concluso.
A sentire Zelensky, la parola “consenso” non è un eufemismo. L’allineamento riguarderebbe:
Resta avvolto nella riservatezza il meccanismo di governance dell’accordo: alcune ricostruzioni parlano di un Consiglio per la pace con un ruolo attribuito direttamente al presidente americano. È un punto che susciterà discussioni giuridiche e politiche in Europa, specie se ridisegna il rapporto tra tutela americana e autonomia strategica europea.
Negli ultimi dieci giorni, il formato dei colloqui è diventato volutamente aperto: riunioni a Berlino, Ginevra, poi Miami, con la promessa di “estendere” il tavolo a Russia e Europa quando il testo sarà sufficientemente maturo. È la traduzione pratica di uno sforzo che la Casa Bianca rivendica come “prioritario”: chiudere il fronte ucraino su basi “giuste e durature”, evitando nel contempo un precedente che normalizzi l’uso della forza per spostare confini in Europa. La cornice verrà comunque testata sul reale: il Cremlino ha già ribadito linee massimaliste su Donetsk e sull’architettura di sicurezza ucraina, mentre Kiev non intende riconoscere come irreversibili le occupazioni. Da qui l’idea di una zona cuscinetto come sospensione della disputa territoriale e non come sua soluzione.
Sul capitolo nucleare non c’è spazio per ambiguità: l’IAEA chiede da oltre tre anni una “zona di protezione” attorno alla centrale, la rimozione di equipaggiamenti militari dal sito, la ricostituzione di linee di alimentazione ridondanti e la piena catena di comando civile per il personale. Ogni blackout totale — anche di 30 minuti — è un salto nel buio che si regge su generatori diesel e competenze umane sotto stress continuo. Gli ultimi report dell’Agenzia hanno documentato lunghi periodi senza alimentazione esterna, con riparazioni ritardate dal fuoco nelle vicinanze e “finestre di cessate il fuoco” ad hoc per intervenire sui cavi danneggiati. Questi fatti, non le intenzioni, dovranno essere il parametro del capitolo 12.
Ogni zona smilitarizzata funziona se sono chiari:
Le ipotesi in circolazione combinano osservatori sul terreno, sorveglianza satellitare e droni non armati per la verifica in tempo reale, con un registro pubblico delle violazioni e ricorsi rapidi. Un meccanismo del genere, se sancito in un accordo, potrebbe ridurre il rischio di incidenti di frontiera e garantire trasparenza alle opinioni pubbliche. Ma serve un arbitro riconosciuto — ONU, OSCE o una coalizione ad hoc — e la disponibilità di Russia e Ucraina a rispettarne le decisioni, con sanzioni automatiche in caso di “recidiva”. L’architettura tecnica, assicurano a Kiev, è “pronta da tempo”: mancano il via politico e la legittimazione multilaterale.
La leva economica è concepita non solo per ricostruire ponti e centrali, ma come deterrente: più l’Ucraina sarà integrata nei mercati occidentali, più alto sarà il costo di una nuova aggressione. La bozza fa riferimento a un “roadmap per la prosperità”, a fondi sovrani d’investimento e a garanzie per infrastrutture critiche. Il messaggio politico è duplice:
Una componente non secondaria riguarda Zaporizhzhia stessa: la ripartenza dell’impianto, se mai e quando sarà ritenuta sicura, richiederà investimenti plurimiliardari e un nuovo sistema idrico dopo la distruzione della diga di Kakhovka. Legare il capitolo industriale a un meccanismo di governance non politicizzato è condizione essenziale per evitare che l’energia diventi di nuovo arma di pressione.
Nelle parole di Zelensky, le questioni rimaste “saliranno ai vertici”. Tradotto: serve una decisione politica tra Kiev e Washington prima di sedersi al tavolo allargato con Mosca e con i partner europei. Il presidente ucraino ha chiesto un incontro diretto con Donald Trump per definire la linea sul territorio, mentre il Cremlino fa sapere che valuterà la bozza appena ricevuta attraverso canali diplomatici. Sono ore in cui i verbi cambiano al presente: si attende la risposta di Mosca, si prepara il calendario dei contatti, si tengono aperti i corridoi di comunicazione. Nulla è scontato, ma per la prima volta da mesi esiste un testo co-scritto da Kiev e Washington che delimita l’arena del negoziato.
In ogni caso, il tempo logistico non coincide con il tempo politico: anche il miglior accordo‐quadro richiederà mesi per dispiegare missioni, tecnologia e fondi. Nel frattempo, ogni giorno di gelo a Zaporizhzhia e lungo la linea di contattoè un rischio che corre sulle spalle di tecnici, militari e civili.
Il valore della bozza non sta nel lessico — comunque diplomaticamente calibrato — ma nella grammatica che prova a costruire:
Se questa grammatica reggerà alla prova dei fatti lo diranno le prossime mosse: oggi sappiamo che Kiev e Washingtonhanno fissato su carta — 20 punti — la mappa del possibile. Manca ancora la bussola delle decisioni politiche: Donetsk e Zaporizhzhia. È lì, nei due punti che restano aperti, che si misurerà la differenza fra una tregua provvisoria e l’inizio di una pace imperfetta ma reale.
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