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La Groenlandia serve davvero agli Stati Uniti? La sicurezza nazionale spiegata senza slogan

Sotto il ghiaccio non c’è solo petrolio: basi militari, radar, rotte artiche e un equilibrio geopolitico che riguarda anche l’Europa. Cosa c’è davvero dietro le parole di Donald Trump

LIBORIO NON TOCCARE .... “La Groenlandia non è un pozzo di petrolio”: perché Trump dice che l’America “deve averla” per la sicurezza nazionale

Mette Frederiksen

Una luce verdastra attraversa l’oscurità sopra il fiordo di Qaanaaq. È l’aurora boreale che si riflette sulle cupole radar della base di Pituffik, mentre a terra il vento a meno trenta gradi colpisce lamiere, antenne e sensori impegnati nella difesa missilistica e nella sorveglianza spaziale. In questo punto remoto della Groenlandia, gli Stati Uniti osservano ciò che accade tra Atlantico, Artico e spazio orbitale. È da qui che Donald Trump, ex presidente e oggi di nuovo alla guida della Casa Bianca, ha rilanciato una dichiarazione che riporta l’isola al centro del dibattito internazionale: «La Groenlandia non ci serve per i minerali o il petrolio; ci serve per la nostra sicurezza nazionale». Una frase pronunciata a dicembre 2025 che riapre una questione già emersa nel 2019 e che ha riacceso tensioni con Copenaghen e Nuuk, spingendo analisti e governi a interrogarsi sul suo significato concreto.

groelandia

Nei giorni scorsi, parlando da Mar-a-Lago, Trump ha ribadito che gli Stati Uniti “devono avere” la Groenlandia non per ragioni economiche legate alle risorse naturali, ma perché l’isola rappresenta un elemento centrale nello scacchiere della sicurezza nord-atlantica e artica. Alla dichiarazione si è aggiunta la nomina di un “inviato speciale” per la Groenlandia, scelta che ha irritato il governo della Danimarca e quello autonomo groenlandese, entrambi pronti a ricordare che l’isola non è in vendita e che ogni decisione riguarda il diritto all’autodeterminazione. Il precedente è noto: nel 2019 l’ipotesi di acquisto fu definita “assurda” dalla premier danese Mette Frederiksen, provocando la cancellazione di una visita ufficiale di Trump a Copenaghen e un incidente diplomatico senza precedenti tra alleati della NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord). Oggi il contesto è diverso, ma più complesso: l’Artico è diventato uno spazio sempre più militarizzato e strategico.

Quando Trump sostiene di non essere interessato agli idrocarburi groenlandesi, il riferimento è alla situazione energetica interna degli Stati Uniti. Washington è da anni il primo produttore mondiale di petrolio, con una produzione che tra il 2023 e il 2025 ha superato stabilmente i tredici milioni di barili al giorno. Questo riduce la necessità di cercare nuove fonti in aree difficili e costose come l’Artico. Ciò non significa però che la regione sia irrilevante: al contrario, il valore strategico dell’Artico riguarda le rotte marittime, le infrastrutture di sicurezza e la capacità di controllo di uno spazio che collega Nord America, Europa e Asia.

Il fulcro della presenza statunitense è la Pituffik Space Base, fino al 2023 conosciuta come Thule Air Base. La base è stata rinominata per riflettere il passaggio sotto la U.S. Space Force (Forza Spaziale degli Stati Uniti) e per riconoscere il toponimo locale. È l’installazione militare americana più a nord e svolge funzioni chiave di allerta precoce contro i missili balistici, sorveglianza del traffico spaziale e supporto alle comunicazioni satellitari. Rappresenta anche un nodo logistico per operazioni della NATO e per missioni scientifiche nell’area artica. La sua presenza si fonda su un accordo di difesa tra Stati Uniti e Danimarca firmato nel 1951 e aggiornato nel tempo. Dal punto di vista giuridico, il quadro è chiaro: qualsiasi ampliamento o modifica richiede il consenso sia di Copenaghen sia di Nuuk.

Dopo le tensioni del 2019, Washington ha scelto una strategia più graduale. Nel 2020 è stato riaperto il consolato statunitense a Nuuk, chiuso dagli anni Cinquanta, e l’USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale) ha finanziato progetti civili per circa dodici milioni di dollari. Turismo, istruzione, infrastrutture e filiere locali sono diventati ambiti di intervento, nel tentativo di presentare gli Stati Uniti come partner affidabile e non solo come potenza militare. È una mossa che si inserisce nella competizione con Russia e Cina, sempre più attive nell’Artico.

La centralità della Groenlandia deriva innanzitutto dalla sua posizione geografica. L’isola si affaccia sul corridoio GIUK (Groenlandia–Islanda–Regno Unito), passaggio chiave fin dalla Guerra fredda per il transito delle flotte russe dall’Artico all’Atlantico. Controllare sensori e rotte in quest’area significa presidiare uno degli accessi principali alla sicurezza euro-atlantica. A questo si aggiunge la dimensione spaziale e missilistica: in un contesto in cui difesa aerea, spazio e cybersicurezza sono sempre più interconnessi, basi come Pituffik ampliano le capacità di allerta precoce del NORAD (North American Aerospace Defense Command).

Il progressivo ritiro dei ghiacci sta inoltre allungando la stagione navigabile lungo la Northern Sea Route russa e, in modo meno regolare, lungo il Passaggio a Nord-Ovest canadese. Se queste rotte diventassero affidabili, i tempi di percorrenza tra Asia ed Europa potrebbero ridursi sensibilmente rispetto al canale di Suez. In questo scenario, la Groenlandia è un punto di appoggio naturale per ricerca e soccorso, rifornimenti, sensori e controllo del traffico marittimo.

Il tema delle risorse resta sullo sfondo ma non scompare. La Groenlandia possiede potenziali giacimenti di terre rare e minerali strategici. Il caso di Kvanefjeld, nel sud dell’isola, è emblematico: il progetto, legato a terre rare e uranio, è stato bloccato nel 2021 dal parlamento di Nuuk con un bando sull’estrazione dell’uranio, aprendo un contenzioso internazionale da oltre dieci miliardi di dollari con l’operatore australiano ETM (Energy Transition Minerals), collegato alla cinese Shenghe. La vicenda mostra come sviluppo economico, tutela ambientale e consenso sociale siano strettamente intrecciati e come le scelte locali abbiano un impatto globale.

La risposta di Copenaghen e Nuuk alle parole di Trump è stata netta. La Groenlandia è un territorio autonomo all’interno del Regno di Danimarca e ogni presenza militare statunitense è regolata dagli accordi esistenti. Nel 2025 la Danimarca ha rafforzato la cooperazione difensiva con gli Stati Uniti concedendo accesso a tre basi aeree nel territorio continentale danese, ma non in Groenlandia. Una scelta che punta a consolidare il legame con la NATO senza mettere in discussione la sovranità sull’isola.

Sul piano internazionale, Russia e Cina osservano e agiscono. Mosca investe sulla Northern Sea Route con rompighiaccio e infrastrutture portuali; Pechino si definisce “stato quasi artico” e promuove la cosiddetta Polar Silk Road, cercando accessi economici e logistici. Nel 2025 i transiti lungo la rotta russa sono stati poco più di un centinaio, numeri lontani dai grandi canali commerciali ma sufficienti a indicare una tendenza. L’aumento del traffico solleva però questioni ambientali, dalle emissioni al rischio per ecosistemi fragili, e spinge Unione europea, Stati Uniti e Paesi artici non russi a lavorare su standard più severi per la navigazione polare.

Nel linguaggio di Washington, la “sicurezza nazionale” artica comprende deterrenza, logistica alleata, governance delle rotte e controllo delle tecnologie critiche. L’Artico è il percorso più breve tra Eurasia e Nord America, un fattore che assume rilievo con lo sviluppo di armi ipersoniche. Allo stesso tempo, chi stabilisce regole e standard sulle vie polari influenza assicurazioni, investimenti e sicurezza ambientale.

Resta spesso in secondo piano la prospettiva dei circa 57.000 abitanti della Groenlandia. Per Nuuk, l’indipendenza è un obiettivo politico e culturale, ma la sostenibilità economica, basata in larga parte sulla pesca e sui trasferimenti danesi, impone cautela. La presenza americana è vista da alcuni come opportunità di lavoro e infrastrutture, da altri come rischio di eccessiva militarizzazione. Il ritorno del consolato USA nel 2020 è stato accolto con interesse, ma anche con l’idea che gli investimenti non debbano imporre condizioni.

Guardando al futuro, è improbabile che le dichiarazioni sull’acquisizione della Groenlandia trovino uno sbocco concreto. Il diritto internazionale e la realtà politica locale rendono realistico solo un rafforzamento della cooperazione entro gli accordi esistenti. Più plausibile è un potenziamento di Pituffik, delle infrastrutture civili utilizzabili anche per ricerca e soccorso, e un lavoro congiunto su regole e sicurezza delle rotte artiche. Il contenzioso su Kvanefjeldcontinuerà a pesare su qualsiasi progetto minerario, americano o meno.

La Groenlandia non è una questione bilaterale tra Washington e Copenaghen, ma un dossier di sicurezza euro-atlantica che coinvolge NATO, Unione europea e partner globali. Per Paesi come l’Italia, con competenze in cantieristica navale, tecnologie satellitari e ricerca polare, esistono spazi di collaborazione in monitoraggio ambientale, telecomunicazioni e ricerca scientifica, a condizione di muoversi nel rispetto delle priorità locali.

Dietro lo slogan “abbiamo bisogno della Groenlandia” si nasconde una rete di basi, radar, satelliti e rotte che collegano continenti e interessi strategici. Non si tratta di estrarre petrolio sotto i ghiacci, ma di gestire infrastrutture di sicurezza in un’area che potrebbe diventare un corridoio alternativo tra Nord America ed Europa. La sfida per gli Stati Uniti sarà dimostrare che la sicurezza può essere costruita attraverso cooperazione e regole condivise, senza ridurre l’isola a un semplice punto sulla mappa.

Fonti: Casa Bianca, Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, U.S. Space Force, Governo della Danimarca, Governo della Groenlandia, NATO, USAID, Energy Information Administration (EIA), Parlamento groenlandese, Energy Transition Minerals, Commissione europea.

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