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Alberto Trentini è ancora in carcere in Venezuela: perché l’Italia non riesce a riportarlo a casa?

La telefonata di Sergio Mattarella alla madre del cooperante riaccende i riflettori su una detenzione senza accuse chiare, tra silenzi giudiziari, pressioni diplomatiche e l’intervento della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH)

Alberto Trentini è ancora in carcere in Venezuela: perché l’Italia non riesce a riportarlo a casa?

Alberto Trentini

La suoneria del telefono interrompe una mattina qualunque, segnata dai preparativi di Natale e da un’attesa che sembra non finire mai. Dall’altra parte della linea c’è Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica. Parole misurate, di sostegno e di vicinanza. Un segnale umano prima ancora che istituzionale, arrivato nei giorni scorsi alla madre di Alberto Trentini, il cooperante veneto detenuto in Venezuela da oltre un anno. La notizia, confermata da fonti vicine alla famiglia, viene rilanciata dalle agenzie e riporta al centro dell’attenzione una vicenda che, nonostante appelli pubblici e canali diplomatici attivi, resta ancora senza uno sbocco definito.

Alberto Trentini arriva in Venezuela il 17 ottobre 2024 per una missione con Humanity & Inclusion, organizzazione non governativa internazionale nata come Handicap International e attiva nei contesti di maggiore vulnerabilità sociale. Il 15 novembre 2024 viene fermato durante uno spostamento di lavoro da Caracas a Guasdualito. Da quel momento iniziano settimane di silenzio e incertezza, prima sulla sua sorte, poi sulla sua collocazione. Solo in seguito, attraverso ricostruzioni convergenti, emerge che sarebbe detenuto nel penitenziario di El Rodeo I, a Guatire, nello Stato di Miranda, a circa trenta chilometri dalla capitale. In quella struttura, secondo più fonti, sarebbe rimasto per lunghi periodi in isolamento.

Il quadro giuridico che accompagna la detenzione appare fin dall’inizio opaco. Per mesi non vengono formalizzati capi d’accusa chiari. Quando filtrano ipotesi come “cospirazione” o “terrorismo”, non seguono comunicazioni ufficiali verificabili in sede giudiziaria. La famiglia segnala difficoltà nei contatti, timori per le condizioni di salute e una costante mancanza di informazioni trasparenti. È su questo sfondo che matura la telefonata del Quirinale. Un gesto che non interviene direttamente sul negoziato, competenza del Governo e della Farnesina, ma che ha un peso istituzionale rilevante. Il Capo dello Stato raramente entra in modo diretto su singoli dossier consolari. Quando accade, il messaggio è chiaro: la Repubblica non perde di vista i suoi cittadini.

La telefonata si inserisce in una fase in cui la gestione pubblica del caso alterna momenti di forte esposizione mediatica a richiami insistenti alla discrezione, indicata più volte come condizione utile a favorire un esito positivo. Nel frattempo, la vicenda segue una traiettoria complessa. Dopo l’arresto di novembre, solo a gennaio 2025 il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale convoca il rappresentante diplomatico venezuelano a Roma. Il ministro Antonio Tajani protesta formalmente per la detenzione senza informazioni chiare. La risposta di Caracas è immediata: l’espulsione di tre diplomatici italiani, che irrigidisce ulteriormente i rapporti bilaterali.

Pochi giorni dopo, il 7 gennaio 2025, interviene la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), organo dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA). La Commissione adotta misure cautelari a favore di Trentini, riconoscendo una situazione di gravità e urgenza e il rischio di un danno irreparabile ai suoi diritti fondamentali. A metà gennaio, a Palazzo Chigi, si tiene una riunione interministeriale che coinvolge Antonio Tajani, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il sottosegretario Alfredo Mantovano, i vertici dell’Intelligence e il Capo della Polizia Vittorio Pisani. All’esterno viene ribadita una linea precisa: massimo impegno, accompagnato da massima discrezione.

Nei mesi successivi, tra marzo e l’estate del 2025, arrivano alcune conferme sulla detenzione a El Rodeo I e il caso viene portato da Tajani anche in sede di G7. Da Caracas filtrano segnali contrastanti. Da un lato, sporadici contatti telefonici con la famiglia; dall’altro, dichiarazioni ufficiali che parlano di rispetto dei diritti del detenuto e di un percorso legale in corso. Posizioni che non dissipano i dubbi, anche perché restano poco chiare le garanzie sull’accesso alla difesa e sulla trasparenza del procedimento. Il 23 dicembre 2025, la notizia della telefonata di Mattarella riporta la vicenda al centro del dibattito pubblico.

Sul piano operativo, il dossier resta nelle mani della Farnesina e della Presidenza del Consiglio. La strategia seguita da Roma si muove su due binari: pressione nelle sedi multilaterali e dialogo diretto con le autorità venezuelane. La scelta di evitare toni eccessivamente pubblici viene ribadita più volte, per non irrigidire l’interlocutore. In primavera, Antonio Tajani dichiara di aver sollevato il caso Trentini anche al G7 Esteri di Charlevoix, chiedendo la liberazione del cooperante italiano e, più in generale, di tutti i detenuti politici o ritenuti tali nelle carceri venezuelane. Il dossier assume così una dimensione che va oltre il rapporto bilaterale.

La posizione ufficiale del Venezuela emerge soprattutto a ridosso dei trecento giorni di detenzione. In un’intervista, il ministro degli Esteri Iván Gil sostiene che i diritti umani di Trentini sarebbero rispettati e che l’iter giudiziario seguirebbe il suo corso. Dichiarazioni che si scontrano con le raccomandazioni della CIDH, che chiede contatti regolari con la famiglia, accesso pieno alla difesa e informazioni puntuali sui capi di imputazione. Elementi che continuano a mancare in modo verificabile.

La decisione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani del 7 gennaio 2025 rappresenta uno snodo rilevante. Le misure cautelari, pur non avendo la forza giuridica di una sentenza, creano un obbligo politico per lo Stato interessato, chiamato a garantire la vita, l’integrità personale e condizioni minime di trasparenza procedurale. Nel caso di Trentini, la Commissione riconosce esplicitamente un rischio grave e urgente. Parallelamente, l’Unione europea e diversi Paesi occidentali continuano a monitorare lo stato di diritto in Venezuela, consapevoli che prese di posizione pubbliche non calibrate possono produrre effetti controproducenti.

Mattarella

Il profilo di Alberto Trentini è quello di un cooperante con oltre dieci anni di esperienza internazionale. Laureato, abituato a lavorare in contesti complessi, in Venezuela era impegnato con Humanity & Inclusion in progetti a favore di persone con disabilità e comunità vulnerabili. Un lavoro che comporta spostamenti frequenti e contatti con istituzioni locali. È durante uno di questi trasferimenti che avviene il fermo del novembre 2024. Da allora, la sua storia è segnata da lunghi silenzi, conferme parziali e rari contatti telefonici, come quelli tra maggio e luglio 2025, nei quali rassicura la famiglia sulle condizioni essenziali, senza però indicazioni sui tempi di una possibile liberazione.

La madre, Armanda Colusso, diventa il volto pubblico della battaglia per riportare il figlio a casa. Insieme ai legali, tra cui l’avvocata Alessandra Ballerini, porta avanti appelli, incontri istituzionali e iniziative pubbliche tra il Veneto e Milano. Flash mob, petizioni e conferenze stampa tengono viva l’attenzione, cercando di rispettare al tempo stesso la richiesta di non trasformare il caso in una contrapposizione mediatica sterile. Anche enti locali e rappresentanti politici di diversi schieramenti chiedono maggiore tutela consolare e valutano strumenti come missioni parlamentari o l’ipotesi di un inviato speciale con mandato negoziale.

In questo contesto, la telefonata di Sergio Mattarella arriva in una fase di apparente stallo. Non offre soluzioni immediate, ma ribadisce che lo Stato italiano è presente e che il caso non è stato archiviato. È un messaggio rivolto alle autorità venezuelane, ma anche all’opinione pubblica italiana, che continua a interrogarsi sull’efficacia delle leve diplomatiche attivate. Restano aperte questioni fondamentali: quali siano esattamente i capi d’accusa, in quale fase si trovi il procedimento, se siano garantiti in modo costante l’accesso consolare, l’assistenza legale e i contatti familiari, come richiesto dalla CIDH, e quali tutele mediche siano assicurate all’interno di El Rodeo I.

Finché queste domande non troveranno risposte verificabili, l’attenzione pubblica non potrà diminuire. Al 23 dicembre 2025, la vicenda di Alberto Trentini resta una storia sospesa tra tribunali opachi e diplomazia silenziosa. La telefonata del Presidente della Repubblica non chiude il capitolo, ma segnala che la storia è ancora aperta e che le istituzioni italiane continuano a considerarla una priorità.

Fonti: ANSA, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Commissione Interamericana dei Diritti Umani, Organizzazione degli Stati Americani, dichiarazioni pubbliche di Antonio Tajani, interviste ufficiali di Iván Gil, comunicazioni della famiglia Trentini.

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