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24 Dicembre 2025 - 02:14
Chi protegge i pastori di Samu? Pecore massacrate, bambini intossicati e coloni arrestati, ma la violenza continua
All’inizio si sente solo un belato spezzato, poi il rumore secco del legno contro il ferro. Nell’inquadratura delle telecamere di sorveglianza, figure incappucciate attraversano il cortile di una piccola fattoria: entrano, sfondano porte, rovesciano mobili, puntano al recinto. Le pecore cercano di ammassarsi negli angoli, ma non c’è riparo. Quando la luce torna, restano macchie di sangue sull’aia, vetri infranti e lana imbrattata. È la notte in cui, secondo i residenti, un gruppo di coloni mascherati provenienti dall’insediamento di Susya ha fatto irruzione nel centro agricolo di Samu, a sud di Hebron, picchiando a morte diversi capi e ferendo almeno tre membri della famiglia Daghameen. Le immagini, diffuse nelle ore successive, mostrano anche i danni all’abitazione e all’auto parcheggiata davanti. L’episodio non è isolato: è la seconda volta in meno di due mesi che la stessa famiglia viene presa di mira.

Secondo le ricostruzioni locali, nella notte tra lunedì 22 e martedì 23 dicembre 2025, un gruppo di coloni mascherati è entrato nella proprietà dei Daghameen a Samu. Tre palestinesi sono rimasti feriti; diversi animali sono stati uccisi a colpi di bastone e, in alcuni casi, con armi da fuoco. La casa è stata vandalizzata, con porte e finestre sfondate, arredi distrutti e telecamere danneggiate. La stessa abitazione era già stata presa di mira in passato. Le sequenze di videosorveglianza mostrano cinque assalitori con manganelli o bastoni che si avvicinano all’ingresso e, una volta dentro, si dirigono verso il recinto degli ovini, colpendoli ripetutamente.
Nelle ore successive, fonti israeliane hanno riferito dell’arresto di cinque sospetti coloni, con ipotesi di reato che includono violazione di proprietà privata e danneggiamenti. Restano divergenze sulla natura degli agenti irritanti utilizzati all’interno dell’abitazione. I palestinesi parlano di gas lacrimogeni lanciati nella casa, circostanza che avrebbe costretto al ricovero tre bambini sotto i quattro anni, mentre la polizia israeliana sostiene si sia trattato di spray al peperoncino. In ogni caso, la presenza di sostanze urticanti è stata confermata dagli effetti sanitari riferiti sul posto, con sintomi respiratori e irritazioni che hanno richiesto cure mediche immediate.
Non è la prima volta che la famiglia Daghameen finisce nel mirino. A fine ottobre 2025 era stato denunciato un altro raid, con dieci pecore uccise, il serbatoio dell’acqua danneggiato, balle di fieno bruciate e finestre fracassate. Anche in quell’occasione i Daghameen avevano indicato i coloni di Susya come responsabili, accusandoli di impedire l’accesso ai terreni e persino al pascolo. Testimonianze e riprese video raccolte allora documentavano i danni all’allevamento e all’abitazione, delineando una pressione continua sulle attività agricole della famiglia.
La fattoria dei Daghameen è rappresentativa di quanto accade a Masafer Yatta, l’area dei South Hebron Hills più esposta alle frizioni tra comunità palestinesi e insediamenti israeliani, ufficiali o di avamposto. Qui l’agricoltura e la pastorizia non sono attività marginali, ma l’unica fonte di sussistenza. Colpire le pecore non equivale solo a un atto di violenza sugli animali, significa compromettere il reddito, la produzione di latte, carne e lana e la possibilità di affrontare i mesi successivi. È una ferita economica immediata che si somma al trauma fisico e psicologico. Le Nazioni Unite hanno da tempo segnalato come in quest’area sia cresciuto il numero di aggressioni, con ricadute dirette sulla sicurezza alimentare e sull’accesso a servizi e pascoli.
I numeri aiutano a leggere il quadro. Nel 2025, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha registrato oltre 1.700 attacchi di coloni che hanno causato feriti e o danni in più di 270 comunità della Cisgiordania, con una media di circa cinque incidenti al giorno. Le aree più colpite sono le province di Ramallah, Nablus e Hebron. Nell’ottobre 2025 si è toccato un record da quando, nel 2006, OCHA ha iniziato a conteggiare sistematicamente questi episodi, con 264 attacchi in un solo mese, più di otto al giorno.
Il dato non è astratto. A Masafer Yatta la frequenza degli attacchi è quasi triplicata rispetto alla media del periodo 2021-2022, con episodi che spesso combinano aggressioni fisiche, vandalismi e distruzione di ulivi e infrastrutture idriche. Gli osservatori delle Nazioni Unite sottolineano come l’impatto non sia solo immediato, ma si estenda nel tempo attraverso dislocamenti forzati, perdita di reddito, abbandono dei campi e crescente dipendenza dagli aiuti umanitari.
Organizzazioni israeliane per i diritti umani hanno documentato per anni livelli molto elevati di impunità nei casi di violenza dei coloni contro palestinesi. Secondo Yesh Din, circa il 94 per cento dei fascicoli monitorati tra il 2005 e il 2024 si è chiuso senza rinvii a giudizio e solo il 3 per cento è culminato in una condanna, evidenziando carenze strutturali nell’applicazione della legge nei confronti di cittadini israeliani in Cisgiordania. È su questo terreno che molti analisti collocano il senso di invulnerabilità che favorisce azioni ripetute, soprattutto durante periodi agricoli sensibili come la raccolta delle olive.
Non sono mancate, anche di recente, prese di posizione ufficiali contro la violenza dei coloni, comprese dichiarazioni di esponenti di primo piano delle istituzioni israeliane. Tuttavia, sul terreno, l’effetto deterrente appare limitato. La stampa internazionale ha più volte registrato condanne verbali che non si sono tradotte in un cambiamento visibile delle tendenze.
L’insediamento di Susya, vicino a Samu, resta uno dei nodi più delicati dei South Hebron Hills, un’area segnata dalla presenza di colonie e avamposti a ridosso di villaggi palestinesi, grotte abitate e campi coltivati. Stime indipendenti indicano che tra 600.000 e 750.000 coloni israeliani vivono oggi in oltre 250 insediamenti e avamposti in Cisgiordaniaed Est Gerusalemme, molti dei quali sorgono in prossimità di comunità palestinesi e di zone agricole strategiche. Gli attacchi non sono distribuiti in modo uniforme, ma tendono a concentrarsi nelle aree di maggiore frizione e lungo le vie di accesso ai terreni.
La posizione giuridica degli insediamenti, considerati illegali dal diritto internazionale umanitario e dalle Nazioni Unite, resta un nodo politico irrisolto. Israele contesta questa interpretazione e richiama esigenze di sicurezza e contesti storici precedenti. Sul terreno, però, il diritto si manifesta attraverso ordini militari, permessi, divieti di accesso e nell’azione, o nella mancata azione, di polizia e magistratura. È in questo spazio che maturano episodi come quello di Samu, dove il confine tra sicurezza, proprietà privata e danno intenzionale diventa una disputa quotidiana.
Nel caso di Samu, la notizia degli arresti rappresenta un elemento di discontinuità rispetto a episodi precedenti, nei quali gli autori di aggressioni simili raramente venivano identificati e fermati nell’immediatezza. Resta da verificare se le indagini porteranno a capi d’accusa solidi e a un processo e se verranno chiarite responsabilità e dinamica, inclusa la questione dell’uso di gas lacrimogeni o spray al peperoncino, con implicazioni legali e sanitarie rilevanti. La cronaca internazionale ha diffuso anche i video dell’irruzione, nei quali si vedono gli assalitori entrare nell’abitazione e colpire gli animali, un materiale che potrebbe avere un peso nelle indagini.
Dal lato palestinese, la Commissione per la Resistenza alla Colonizzazione e al Muro ha definito l’assalto parte di un modello sistematico di intimidazione contro civili, proprietà e mezzi di sussistenza. La denuncia si inserisce in un quadro più ampio che, secondo l’organismo, comprende centinaia di episodi ogni mese tra aggressioni, incendi dolosi, taglio di alberi e vandalismi contro pompe d’acqua e cisterne.
Nel contesto dei South Hebron Hills, perdere un gregge non è un dettaglio. Significa rinunciare a entrate immediate e future, dover ricorrere a prestiti informali e affrontare costi aggiuntivi per riparazioni e cure veterinarie. In un sistema economico fragile, dove l’accesso ai terreni è intermittente e le infrastrutture sono precarie, il colpo agli animali da reddito è diretto e duraturo. Gli operatori umanitari richiamano da tempo l’attenzione sull’effetto cumulativo di questi episodi, che combinano danni materiali, stress costante e perdita di giorni di lavoro.
Non meno rilevante è l’impatto sulla salute. L’uso di agenti urticanti in spazi chiusi, siano essi gas lacrimogeni o spray OC (oleoresin capsicum), può avere effetti gravi su bambini piccoli e persone con patologie respiratorie. Nel caso dei Daghameen, tre bambini sono stati portati in ospedale dopo l’irruzione. Anche qui, la divergenza tra versioni non cambia il dato sostanziale: l’esposizione a sostanze chimiche in ambienti domestici rappresenta un rischio sanitario serio.
Tra ottobre e novembre, la stagione della raccolta delle olive coincide da anni con un aumento degli incidenti. Nel 2025, OCHA ha contato 178 attacchi legati alla raccolta in 88 comunità, tra aggressioni, distruzione di attrezzi e danneggiamento degli alberi. Nelle settimane successive il livello di violenza è rimasto elevato, con decine di episodi registrati ogni settimana in tutta la Cisgiordania, anche in relazione alla proliferazione di avamposti non autorizzati che restringono ulteriormente l’accesso ai terreni agricoli.
Nel complesso, nel 2025 OCHA ha documentato in West Bank oltre 1.680-1.700 attacchi di coloni con feriti e o danni, con un peso significativo della provincia di Hebron e, in particolare, delle comunità di Masafer Yatta. I dati di Yesh Din sull’impunità confermano un quadro già descritto da numerose testate internazionali nel biennio 2024-2025, fatto di attacchi ripetuti in villaggi, strade e campi, con risposte istituzionali percepite come intermittenti.
Per la famiglia Daghameen la priorità immediata è riparare i danni, curare gli animali sopravvissuti e rendere di nuovo abitabile la casa. Per Samu, come per molte comunità dei South Hebron Hills, la questione è più ampia e riguarda la possibilità di interrompere una sequenza che la cronaca descrive come sistematica, nella quale colpire bestiame e strutture agricole serve a rendere la vita quotidiana sempre più difficile. Gli arresti delle ultime ore potrebbero rappresentare un segnale, ma l’esperienza recente suggerisce cautela prima di parlare di un cambiamento strutturale. La protezione effettiva dei civili, l’accesso ai campi e una rendicontazione giudiziaria trasparente restano i nodi centrali, perché i numeri non diventino una routine statistica.
Fonti: Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), Yesh Din, Commissione per la Resistenza alla Colonizzazione e al Muro, polizia israeliana, Nazioni Unite, reportage e verifiche di Associated Press, Reuters, The Washington Post, Al Jazeera.
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