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22 Dicembre 2025 - 15:51
In foto Federico Riboldi, Alberto Cirio e Maurizio Marrone
Fiato alle trombe, rullo di tamburi, squilli di fanfare.
Dopo anni di attese, rinvii, bozze riscritte e promesse evaporate, il Consiglio regionale del Piemonte ha finalmente approvato il Piano Socio-Sanitario Regionale 2025–2030. Un momento solenne, almeno nei comunicati della maggioranza. Un momento storico, se lo si guarda dal punto di vista di chi riesce a festeggiare anche quando arriva ultimo.
Perché il vero miracolo non è tanto il contenuto del Piano, quanto il fatto che sia arrivato prima della fine dell’anno. E già questo, per la sanità piemontese targata Cirio, viene raccontato come un successo. Un traguardo. Quasi un’impresa.
Peccato che il Piano più importante della sanità regionale arrivi dopo cinque anni di navigazione a vista, mentre la sanità reale — quella fatta di pronto soccorso al collasso, medici stremati, infermieri che scappano e cittadini che rinunciano a curarsi — si è arrangiata come poteva. Senza guida, senza investimenti strutturali, senza una visione che andasse oltre il comunicato stampa e la foto di rito.
Oggi la maggioranza parla di documento “moderno”, “coraggioso”, “condiviso”. Le opposizioni, che in questi anni hanno dovuto metterci le pezze, parlano invece di un Piano vuoto di risorse, privo di tempi certi e costruito senza basi solide. Due narrazioni inconciliabili. Ma solo una aderisce ai fatti.
Il primo grande assente di questa storia ha un nome e un cognome: Alberto Cirio. Il presidente della Regione Piemonte, quello che dovrebbe essere il garante politico della sanità pubblica, è diventato col tempo una figura quasi mitologica: evocato, citato, ma raramente avvistato. I numeri parlano chiaro e non hanno bisogno di interpretazioni: assente nell’84% delle sedute del Consiglio regionale. Altro che regista della riforma: un turista istituzionale, come lo definisce senza mezzi termini il Partito Democratico.
E mentre il presidente era altrove, la sanità piemontese affondava lentamente. Liste d’attesa infinite, ospedali promessi e mai avviati, assunzioni ridotte al minimo indispensabile per tappare i buchi lasciati dai pensionamenti. Nessun cambio di passo, nessuna inversione di rotta. Solo gestione dell’emergenza, giorno per giorno, reparto per reparto, territorio per territorio. Una sanità lasciata a galleggiare, sperando che non affondasse del tutto.
Il Movimento 5 Stelle non ha dubbi: questo Piano arriva fuori tempo massimo. Secondo Sarah Disabato, Alberto Unia e Pasquale Coluccio, la Giunta Cirio 1 e Cirio 2 ha governato la sanità alla giornata, senza programmazione, senza investimenti strutturali, senza coraggio politico. E oggi, con una comparsata in Aula, prova a intestarsi un risultato che non le appartiene.
Perché se il Piano non è un deserto, lo si deve esclusivamente al lavoro delle opposizioni. Un lavoro paziente, tecnico, spesso ignorato, che ha trasformato un testo fragile in qualcosa di almeno difendibile. Grazie agli emendamenti del M5S entrano finalmente nel documento temi che la Giunta aveva colpevolmente trascurato: i PFAS come emergenza sanitaria, i controlli sull’intramoenia, la depressione post-parto, la vulvodinia, la sicurezza sul lavoro attraverso il rafforzamento degli Spresal, la violenza contro il personale sanitario, il ritiro sociale degli hikikomori, il mutismo selettivo, la crioconservazione degli ovociti, il benessere animale. Temi concreti, scomodi, poco mediatici. Proprio per questo inizialmente ignorati.
Ma c’è una domanda che resta sospesa come una diagnosi non comunicata al paziente: quando verrà attuato questo Piano? Con quali fondi? In quali tempi? Chi se ne assumerà la responsabilità politica? Su questo, denunciano i pentastellati, Cirio tace. E il silenzio, in politica, non è mai neutro: è sempre una scelta.

Sarah Disabato e Federico Riboldi
Ancora più dura, e forse ancora più destabilizzante, è la lettura del Partito Democratico, che ha votato contro senza tentennamenti. Gianna Pentenero e Daniele Valle hanno smontato il Piano pezzo dopo pezzo, evidenziando una lacuna che dovrebbe far tremare i polsi: l’assenza di una vera base epidemiologica. Si parla di invecchiamento della popolazione, ma senza dire dove, come e con quali effetti. Nessuna analisi seria sulla distribuzione delle patologie, nessuna proiezione demografica credibile, nessun indice per misurare i risultati. Programmazione sanitaria senza dati è come chirurgia senza anestesia: dolorosa e inutile.
Il dato politicamente più imbarazzante per la maggioranza è però un altro: oltre 200 emendamenti presentati dalla stessa Giunta. Una valanga di correzioni che certifica una sola cosa: il Piano è nato male. Talmente male che persino l’ex assessore leghista Luigi Icardi ha ammesso pubblicamente che lo avrebbe scritto diversamente. E se perfino la Lega prende le distanze dal proprio operato, significa che il problema non è l’opposizione. È il testo.
La verità è che, ancora una volta, sono state le opposizioni a salvare il salvabile. Sulla salute mentale hanno imposto un cambio di paradigma vero: basta cronicizzazione, basta ricoveri infiniti, basta farmaci come unica risposta. Si è tornati finalmente a parlare di servizi territoriali, di équipe integrate, di prevenzione, di attenzione ai giovani e alle fasce più fragili, devastate dagli effetti della pandemia. Si è rafforzato il nodo dei centri per le terapie neurologiche innovative, introdotto il principio di equità come criterio guida, provato a superare una programmazione ospedaliera vecchia, scollegata dal PNRR, dal Decreto 77 e dalla lezione del Covid.
Sulla salute delle donne si sono colmati ritardi che gridavano vendetta: violenza di genere, dolore pelvico cronico, vulvodinia, disturbi alimentari. Si è riconosciuto finalmente il ruolo della sanità veterinaria pubblica all’interno di una visione One Health e si è introdotta, nero su bianco, la necessità di un vero piano di assunzioni. Una parola, assunzioni, che la maggioranza continua a pronunciare con la cautela di chi teme di doverla poi mantenere.
E mentre in Aula si fatica a mettere in fila i problemi reali, dai banchi della maggioranza sono partiti comunicati autocelebrativi a raffica: documento “moderno”, “approfondito”, “frutto di un grande lavoro di squadra”. Una narrazione rassicurante, quasi eroica. Peccato che fuori dal Palazzo la sanità piemontese continui a essere un percorso a ostacoli, soprattutto per chi non può permettersi il privato.
Insomma, il Piano Socio-Sanitario Regionale 2025–2030 è stato approvato. Applausi, sorrisi, foto di rito. Ma sotto la patina resta una verità difficile da nascondere: senza risorse, senza tempi certi e senza una guida politica presente, questo Piano rischia di essere l’ennesimo esercizio di retorica istituzionale.
La partita vera comincia adesso. Ed è quella che la Giunta sembra temere di più: l’attuazione quotidiana, quella che non si può raccontare con le fanfare. Perché la sanità non si governa con i comunicati stampa. Si governa con scelte, investimenti e presenza.
Tutte cose che, finora, sono mancate.
Poi ci sono le parole. Tante parole. Quelle del presidente Alberto Cirio e degli assessori Federico Riboldi e Maurizio Marrone, che provano a riscrivere la storia appena raccontata dalle opposizioni. Una narrazione parallela, rassicurante, quasi epica, in cui il Piano appena approvato diventa improvvisamente storico, completo, coraggioso. Insomma, tutto ciò che fino a ieri non era.
Secondo Cirio, l’approvazione del Piano rappresenterebbe addirittura una svolta epocale: «Un grande lavoro che finalmente dota il Piemonte di uno strumento di programmazione per la sanità. È un’approvazione storica perché un piano mancava da trent’anni». Una dichiarazione che suona come una rivendicazione, ma che finisce per porre una domanda inevitabile: se mancava da trent’anni, perché la sua Giunta ha impiegato cinque (o sei) anni per approvarlo?
Ancora più entusiasta il racconto dell’assessore alla Sanità Federico Riboldi, che parla di giornata storica, di oltre 600 audizioni, di un anno di lavoro intenso e di un Piano che dovrebbe riportare nell’alveo della sanità pubblica tutti i piemontesi e velocizzare i tempi d’attesa. Parole ambiziose, che però arrivano mentre le liste d’attesa restano una delle principali emergenze regionali e mentre nessuno, nemmeno oggi, è in grado di dire quando e con quali risorse queste promesse diventeranno realtà.
Dal canto suo, l’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone annuncia una sanità davvero sociale, un nuovo fondo da 5 milioni per i caregiver familiari, la centralità della persona, la prevenzione, la domiciliarità e una riforma delle residenze socio-sanitarie che dovrebbe finalmente mettere i bisogni delle persone fragili al centro. Una svolta annunciata con toni enfatici, che però dovrà fare i conti con una realtà fatta di servizi territoriali sotto pressione e famiglie lasciate troppo spesso sole.
Il Piano, spiegano dalla Giunta, introduce anche una lunga serie di novità: tavoli di lavoro per specifiche patologie, un corpo logistico sanitario basato sul volontariato per accompagnare anziani e soggetti fragili, nuove figure dedicate all’umanizzazione degli ambienti sanitari. Tutte misure che sulla carta suonano bene, ma che rischiano di restare buone intenzioni se non accompagnate da personale, investimenti e una governance stabile.
Il Piano, spiegano dalla Giunta, comprende anche il capitolo più ambizioso e più delicato: l’edilizia sanitaria. Un elenco imponente, che sulla carta sembra la risposta a tutto. Si parla di 11 ospedali di nuova costruzione: dal Parco della Salute, della Ricerca e dell’Innovazione di Torino alla Città della Salute e della Scienza di Novara, passando per gli ospedali dell’ASL TO5 di Cambiano, Torino Nord, Savigliano, Cuneo, Alessandria, Ivrea, Vercelli, VCO e l’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino. A questi si aggiungono 4 grandi ristrutturazioni – Alba, Bra, Borgomanero e Vercelli – oltre a 91 Case di Comunità, 30 Ospedali di Comunità, 49 Centrali operative territoriali e le Case di Comunità spoke, pensate per rafforzare i servizi sul territorio.
Secondo Riboldi, l’investimento complessivo sarebbe di 5 miliardi di euro, destinati a modernizzare la sanità, ridurre gli sprechi e smaltire le liste d’attesa. Anche qui, però, il punto non è l’annuncio, ma l’attuazione. Perché i piemontesi, negli ultimi anni, hanno imparato a diffidare dei numeri tondi e delle cifre roboanti, soprattutto quando non sono accompagnate da un cronoprogramma chiaro e verificabile.
Chiude il pacchetto delle promesse la sanità digitale: nuovo Cup con intelligenza artificiale, app Piemonte in Salute, gestione automatizzata dei pazienti cronici. Un futuro ipertecnologico che viene raccontato mentre, nel presente, molti cittadini faticano ancora a prenotare una visita o a trovare un medico di base.
Insomma, da una parte la realtà raccontata dalle opposizioni: ritardi, assenze, mancanza di risorse e un Piano riscritto in corsa per evitare il naufragio. Dall’altra, la versione della Giunta: una sanità che rinasce, un Piano “storico”, una stagione nuova pronta a cominciare. Due mondi che, almeno per ora, non si incontrano.
Perché la vera prova non sarà nelle conferenze stampa né nei comunicati entusiasti, ma nei reparti, nei territori, nelle liste d’attesa e nella vita quotidiana dei cittadini.
E quella prova, come sempre, non ammetterà fanfare.
Federico Riboldi parla della sanità piemontese come si parla del futuro quando il presente è complicato: con entusiasmo, con fiducia, con una certa inclinazione all’astrazione. La parola che gli piace di più è “storico”. Giornata storica, Piano storico, svolta storica. Storico perché mancava da trent’anni, dice. E in effetti è vero: mancava. Come mancano oggi i medici, gli infermieri, i tempi certi, le risposte immediate. Ma quelle sono cose del presente, e il presente, si sa, è sempre meno affascinante del futuro.
Il Piano Socio-Sanitario, raccontato da Riboldi, è una specie di romanzo di formazione della sanità piemontese. Dopo un anno intenso, dopo seicento audizioni, dopo un grande confronto, finalmente la sanità scopre se stessa. Scopre che bisogna riportare i cittadini nella sanità pubblica, velocizzare le liste d’attesa, mettere la persona al centro. Idee nuove, freschissime, quasi rivoluzionarie. Talmente nuove che qualcuno si chiede come mai non siano state applicate prima. Ma è una domanda superflua: prima mancava il Piano.
Il Piano, del resto, è una cosa seria. Ha numeri importanti, di quelli che fanno rumore. Undici ospedali nuovi, quattro grandi ristrutturazioni, decine di Case di Comunità, Ospedali di Comunità, Centrali operative. Cinque miliardi di euro. Numeri che non chiedono di essere verificati, ma ammirati. Numeri che, messi così in fila, sembrano già funzionare. È il potere dell’elenco: non cura, ma rassicura.
Nel racconto di Riboldi la sanità diventa anche digitale, intelligente, quasi sensibile. Il nuovo Cup prenota, l’intelligenza artificiale gestisce, l’app accompagna. Il futuro prende in carico. Nel frattempo, nel presente, qualcuno prova ancora a chiamare un numero che non risponde, a prenotare una visita che slitta di mesi, a trovare un medico che non c’è. Ma sono dettagli. Il Piano guarda avanti, non si lascia distrarre dall’oggi.
C’è poi l’idea che tutto questo, finalmente, rimetterà ordine. Che le liste d’attesa si accorceranno, che i reparti respireranno, che i territori saranno coperti. Quando? Presto. Come? Con l’attuazione. È una parola magica, l’attuazione. Non si vede, ma si sente. Non si misura, ma si invoca. Arriverà, come arrivano le cose giuste, dopo.
Nel frattempo il Piano consola. Spiega che il problema non è adesso, ma prima. Che senza Piano non si poteva fare nulla. Ora sì. Ora si può fare tutto. È una sanità che non promette meno, promette di più. Promette così tanto che, a forza di promesse, sembra quasi già realizzata.
Riboldi, in questo racconto, non è un assessore. È il narratore di una possibilità. La sanità che verrà. Non quella che c’è, non quella che fatica, non quella che regge grazie alla buona volontà di chi ci lavora ogni giorno. Quella che verrà, grazie al Piano.
E forse è proprio questo il punto. La sanità piemontese, oggi, non si governa con i reparti, con il personale, con le scelte difficili. Si governa con le parole. Parole grandi, parole rassicuranti, parole storiche. Nei comunicati funzionano benissimo. Nei corridoi degli ospedali un po’ meno.
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