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Ombre su Torino

Sette morti per quaranta milioni di lire: l’esplosione di via Tonello che sventrò Torino e trasformò una truffa assicurativa in una strage

Una scintilla accesa per un milione di lire, un palazzo raso al suolo, 22 famiglie inghiottite dalle macerie e una verità arrivata troppo tardi nella notte più nera di corso Casale

Un'esplosione nella notte e un boato devastante.
21 dicembre 1982 ore 23.05.
Via Tonello è una breve traversa di corso Casale che, a quell’ora, offre solo freddo e silenzio. In strada non c’è nessuno, di locali aperti manco a parlarne e nelle case si stanno spegnendo le ultime luci.
Poi, all’improvviso, la pace e la noia di un martedì qualsiasi vengono tragicamente spezzate. In corrispondenza del civico 5, una tremenda esplosione ha fatto saltare per aria il minimarket che si trovava al piano terra. La deflagrazione, che ha coinvolto tutti i palazzi intorno fino a corso Casale 180, ha causato il crollo dell’edificio su sé stesso e ha aperto una voragine alta 8 metri e larga 5.
La scena è apocalittica.
Il cedimento ha inghiottito le abitazioni di 22 famiglie e ha sparso in strada detriti, calcinacci, pezzi di mobili, lenzuola, vestiti. Ma, soprattutto, ha provocato 7 morti e 10 feriti che vengono estratti dopo circa 12 ore di lavoro notturno dei pompieri.
Il giorno dopo le piste sono molteplici: una bomba di avvertimento ai proprietari del supermercato, delle tubature di gas difettose, lo scoppio di una caldaia o un regolamento di conti tra spacciatori.
Ad essere subito sospettato è uno dei feriti.
Aldo Arnone è l’unico tra quelli riemersi vivi da quel disastro ad avere ustioni sulle braccia, sul volto e sul cuoio capelluto. È poi anche l’unico coinvolto a non abitare in zona e che, interrogato, riferisce prima di essere passato da quelle parti per caso e poi perché doveva incontrare un amico di cui però non fa il nome.
In attesa delle perizie sui vestiti dell’indiziato e sulla scena del crimine (i cui ritardi si trascineranno per molti anni) una serie di colpi di scena in rapida successione indirizzano le indagini.
Vengono messi sotto la lente d’ingrandimento i proprietari del negozio, Eliseo Decubellis e Giuseppe D’Amuri. Il primo racconta che hanno rilevato il locale due anni prima, che lo stesso gli permetteva di vivere bene e, soprattutto, che non avevano mai ricevuto alcuna minaccia in odore di racket.
Decubellis riferisce che quella sera i due hanno chiuso alle 19 e che poi il suo socio lo avrebbe accompagnato alla stazione per prendere un treno verso Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi. D’Amuri invece è scomparso e viene ritrovato il 24, ricoverato in ospedale. Qui ci è finito con un principio di congelamento ai piedi e la storia che descrive è al limite dell’incredibile: avrebbe dato un passaggio a un uomo, questi lo avrebbe rapinato e messo fuori uso l’auto dove “Pino” avrebbe dormito per 24 ore fino a quasi morire di freddo. Non sa spiegare dove è stato nelle 48 ore precedenti. Appena uscito dalla clinica viene portato dietro alle sbarre.
Si viene poi a sapere che il fratello di Aldo, Roberto Arnone, conosceva Pino. Resta molto sul vago sugli spostamenti di quella sera del fratello, mentre il suo alibi vacilla. Dice che è stato in casa con degli amici fino alle 23, ma questi rivelano di essere andati via alle 21.30: i fratelli vengono entrambi arrestati.
Nonostante il silenzio totale di tutti gli indagati (e le piste della criminalità organizzata e dell’attentato ancora in piedi) la Polizia, il 30 dicembre, aggiunge un tassello fondamentale alla storia. I titolari del market, un paio di mesi prima, avevano stipulato una polizza assicurativa per i danni da incendio. 95 milioni di lire di rimborso massimo per la merce, 50 per i muri e 30 per danni a terzi. Una clausola specificava che la compagnia avrebbe, in ogni caso, garantito una quota superiore al 50% del massimale per la merce. Se è andata così, stimato che nel negozio c’erano 10 milioni in alimentari, la strage sarebbe avvenuta per guadagnare più o meno 40 milioni di lire.
Anche Decubellis viene messo dentro.
Con gran parte delle famiglie rimaste senza case trasferite in via Bologna e D’Amuri che si suicida in carcere in giugno, si arriva al processo il 13 novembre 1984.
Qui, durante la prima udienza, si nota subito l’assenza di Roberto Arnone. Era stato scarcerato in settembre per decorrenza termini e si è dato latitante. Lo stesso giorno, però, arriva la confessione di Aldo: è stato lui. Gli era stato chiesto di farlo al posto del fratello (in quel momento sorvegliato speciale) che aveva preso accordi con D’Amuri.
Parla di aver dato fuoco a una striscia di carta che sporgeva dalla porta del negozio e che avrebbe dovuto accendere circa 10 litri di benzina che erano stati versati sul pavimento alla chiusura. Compenso: un milione.
Quello che non sa è che il carburante, essendo rimasto per terra per almeno quattro ore, è evaporato rimanendo nell’aria satura della stanza: una scintilla ha trasformato un tentato incendio in una tremenda esplosione.
Riconosciuto anche dai periti dell’accusa che i presunti colpevoli non avrebbero voluto provocare una strage, il 30 novembre i fratelli Arnone e Decubellis vengono condannati in primo grado a 14 anni per omicidio colposo aggravato plurimo e crollo colposo. Proprio la derubricazione del reato (rispetto alla precedente formulazione, omicidio volontario) fa immediatamente scarcerare i colpevoli in attesa dell’appello. Il giorno dopo anche Aldo sparirà nel nulla.
Nel 1987 il palazzo di via Tonello è tornato ad essere abitato. Lo hanno ricostruito i proprietari (due pensionati in collaborazione con dei muratori) non prendendo neanche una lira dall’assicurazione: la loro polizza copriva gli incendi, non gli scoppi.
È dello stesso anno la sentenza della Cassazione che conferma 14 anni ai due fuggiaschi e 7 anni a Decubellis.
Aldo e Roberto vengono arrestati rispettivamente nel 1988 e nel 1990. Hanno scontato i 12 anni di pena rimasti alle Vallette.

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