AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
20 Dicembre 2025 - 16:51
Varvara, 12 anni: scappa dalla guerra e ora lotta contro un tumore
La voce è ferma. Non trema. Non cerca pietà.
È la voce di Iryna Struk, mamma ucraina, che ha scelto di raccontare la sua storia in un’intervista rilasciata a Il Tempo. Una testimonianza che non ha bisogno di enfasi, perché ogni parola pesa come una maceria.
Varvara ha dodici anni. È fuggita dalla guerra. E ora combatte contro un tumore raro, aggressivo, che non concede tempo né sconti. La guerra le ha portato via la casa, la città, l’infanzia. Poi ha provato a portarle via anche il futuro.
Berdyansk, affacciata sul Mar d’Azov, era casa loro. Una casa vera. Una vita normale. Iryna lavorava come funzionaria comunale, suo marito era ingegnere. Poi, nel marzo del 2022, l’invasione russa ha spazzato via tutto. La città è passata sotto controllo russo. La casa è stata occupata. «Un passato che oggi sopravvive solo nei ricordi e in alcune fotografie sfuggite alla devastazione», racconta la donna a Il Tempo.
La fuga è stata un incubo lucido. Duecento chilometri percorsi in ventisei ore. Senza cibo. Senza certezze. Solo con l’urgenza di scappare. «Morte e distruzione lungo tutto il viaggio». Non c’è altro da aggiungere. Il resto lo immagina chi legge.
Da rifugiati, Iryna e suo marito si arrangiano come possono. Lavoretti. Giorni tutti uguali. «Mio marito era ingegnere, io funzionaria del Comune, ma ora non siamo più nulla. Solo rifugiati». Una frase che spiega meglio di qualsiasi analisi cosa fa davvero la guerra: cancella le identità, non solo le case.
Poi, ad agosto, il colpo più duro. Varvara si ammala. In Ucraina, in pieno conflitto, curarsi è quasi impossibile. Visite rimandate. Attese interminabili. Il 4 novembre arriva la biopsia. Tumore raro. Gravissimo. Metastasi rapide. «Per noi il mondo è crollato per la seconda volta», confida Iryna nell’intervista.
La prima volta era stata la guerra. La seconda, la diagnosi.
Non hanno soldi. Non hanno beni. «Non abbiamo più nulla da vendere. Tutto è rimasto dove oggi ci sono i russi». Resta una sola possibilità: chiedere aiuto a chi, tre anni prima, li aveva già salvati. L’associazione La Memoria Viva di Castellamonte. Persone che Iryna chiama senza esitazioni «angeli sulla terra».
Il presidente Roberto Falletti non perde tempo. Il 10 novembre è già in viaggio. Organizza tutto. Li prende. Per Iryna e Varvara non è un viaggio. «È un pellegrinaggio per salvare nostra figlia». Černivci, Leopoli, Cracovia, Milano, Castellamonte. Una linea sottile tra disperazione e speranza.
In Italia succede qualcosa che Iryna non dimenticherà mai. L’accoglienza. Quella concreta. Quella che cura anche prima delle terapie. La Questura di Torino, l’ospedale di Ivrea, poi il Regina Margherita. Medici, infermieri, cittadini. «Mi inchino davanti a voi: siete straordinari», dice nell’intervista a Il Tempo.
Varvara cambia. In Ucraina aveva paura. In Italia torna a sorridere. Abbraccia sua madre e le dice: «Mamma, non siamo più soli». Una frase che spiega tutto. Meglio di mille discorsi.
La strada è lunga. Le cure saranno dure. Ma ora non sono più sole.
Alla fine Iryna non chiede vendetta. Non chiede risarcimenti. Chiede pace. «La guerra è la cosa più terribile che l’uomo possa fare. Resterà per sempre una ferita insanabile». Prega per la guarigione di sua figlia. E per un mondo che smetta di far pagare il conto ai bambini.
E ringrazia l’Italia. Perché, senza questo aiuto, dice con una semplicità che fa male, «avremmo perso anche nostra figlia».
Insomma, questa non è solo una storia di malattia. È la radiografia di una guerra vista dal punto più fragile: quello di una bambina di dodici anni. E di una madre che non può permettersi di crollare, perché crollare significherebbe perdere tutto, un’altra volta.
C’è però un altro capitolo di questa storia. Un capitolo che non riguarda solo le cure, ma il senso più profondo di cosa significhi “salvare qualcuno”.
Mentre Varvara affronta la chemioterapia – e i medici confermano che, al momento, il percorso procede nel modo giusto – l’associazione La Memoria Viva decide di non fermarsi. Perché curare un corpo, senza ricomporre una famiglia, non è mai abbastanza.
Il desiderio più grande di Varvara non è mai stato un dono materiale. Non lo sono stati giocattoli, vestiti o promesse. Il suo desiderio era uno solo: guarire. E, nel frattempo, poter affrontare il Natale con mamma e papà accanto. Uniti. Tutto il resto, per lei, non ha alcun significato.
Un desiderio che, questa volta, si è avverato.
Durante la 70ª missione umanitaria, i volontari di La Memoria Viva sono tornati ancora una volta là dove la guerra mostra il suo volto più scuro. Oltre 6.000 chilometri di strada, dalle periferie martoriate di Kharkiv, Sumy, Donbass, Odessa, Kherson, passando per Mukacevo, Kiev e Lviv. Due tir di aiuti umanitari. Un’ambulanza donata in memoria di Manuel Mameli. Quindici giorni intensi, nel fango e nel freddo, lontano da riflettori e convegni.
E poi il finale. Quello che resta.
I volontari sono andati a prendere il papà di Varvara. Lo hanno accompagnato attraverso la frontiera. Lo hanno portato in Italia, a Castellamonte, dove ad attenderlo c’erano sua moglie e sua figlia. «Portare il papà di Varvara a riabbracciare la sua principessa», scrivono. E non è una frase retorica. È ciò che è accaduto davvero.
La famiglia oggi è finalmente riunita. Per loro sarà un Natale diverso, certo. Un Natale segnato da una stanza, da terapie, da attese. Ma sarà un Natale insieme. Ed è questo che conta.
L’associazione sta ora cercando un appartamento adatto, con una stanza per i genitori e una per la bambina, vista la sua delicata condizione. Un gesto concreto, silenzioso, lontano dalle parole facili. «Missione compiuta nel migliore dei modi», scrivono. E per una volta non è uno slogan.
Nel loro ultimo messaggio, i volontari non parlano di ricostruzione futura né di progetti dorati. Parlano di gesti nel fango delle periferie, di volti veri, di umanità concreta. Perché, come scrivono loro stessi, non serve parlare del “dopo” se non si riesce a vivere l’“ora”.
Insomma, in questa storia non c’è solo il dolore di una guerra e la paura di una malattia. C’è qualcosa che resiste. Testardamente. Una bambina che lotta. Una famiglia che si ritrova. E uomini e donne che scelgono di esserci davvero, quando esserci costa fatica, chilometri e silenzio.
Ed è forse questo, oggi, il miracolo più grande.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.