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Regina Margherita, l’ospedale dei bambini del mondo

Da Gaza all’Ucraina, passando per le guerre dimenticate: a Torino una targa che racconta accoglienza, cure e speranza restituite ai più piccoli, senza confini né bandiere

Regina Margherita, l’ospedale dei bambini del mondo

Regina Margherita, l’ospedale dei bambini del mondo

Eccoli, i veri protagonisti. I bambini. Arrivati a Torino da ogni parte del mondo, soprattutto da quelle terre dove la guerra non è una parola astratta ma una presenza quotidiana, fatta di macerie, paura e notti senza sonno. Sono stati i loro volti emozionati, i sorrisi timidi ma ostinati, gli occhi che raccontano molto più di qualsiasi discorso ufficiale, al centro della cerimonia con cui l’ospedale infantile Regina Margherita è stato ufficialmente dedicato a “Ospedale dei bambini del mondo”.

La targa è stata scoperta nella mattinata, ma il suo significato va ben oltre il gesto simbolico. Racchiude una storia lunga anni, fatta di corridoi attraversati in silenzio, di diagnosi difficili, di cure complesse e di una scelta precisa: curare ogni bambino, senza chiedergli chi sia, da dove venga, cosa creda.

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A ricordarlo è stata Franca Fagioli, direttrice di Dipartimento, che ha ripercorso l’impegno concreto del Regina Margherita nell’accoglienza dei piccoli pazienti provenienti dai contesti più drammatici del pianeta. Negli ultimi anni sono arrivati a Torino, insieme alle loro famiglie, 40 bambini oncologici dall’Ucraina, fuggiti dalla guerra, e una quindicina di bambini malati o feriti dalla Striscia di Gaza. Numeri che diventano volti, storie, voci.

Una di quelle voci ha attraversato la cerimonia come un pugno allo stomaco. Un bambino ha raccontato, con la semplicità disarmante di chi non conosce retorica, cosa significhi crescere sotto le bombe: «Ogni tanto arriva un camion che ci porta la roba da mangiare perché i negozi non ci sono più. Però c’è sempre tanta confusione e tanta folla. Una volta mi è finito addosso un piatto pieno di minestra di lenticchie e mi sono bruciato tutta la pancia». Parole che spiegano più di qualsiasi analisi geopolitica.

Qualcun altro ha provato a sorridere, a scherzare, quasi a difendersi con l’ironia: «Io sono molto basso perché vado a prendere l’acqua dal pozzo con i secchi, e sono molto pesanti». Anche questo è sopravvivere.

C’è stato spazio anche per un momento più leggero, quando il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è complimentato con uno dei piccoli per il suo intervento: «Sei stato molto bravo. Ti vedo bene, quando sarai grande, a fare il deputato. In Palestina ci sarà molto bisogno di politica…». Una battuta, ma anche una speranza affidata alle nuove generazioni.

Nel suo intervento ufficiale Tajani ha voluto sottolineare il valore simbolico e concreto della giornata: «Oggi Torino è la nostra capitale della solidarietà. Per noi italiani è sempre importante tendere la mano a chi soffre. Lo abbiamo fatto con gli ucraini, lo abbiamo fatto con i gazawi, lo faremo con i sudanesi. Un bambino che torna a sorridere è una grande vittoria. Restituire una speranza a loro e alle loro famiglie è il regalo più bello».

Sulla stessa linea il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, che ha ribadito il principio cardine che guida l’azione del Regina Margherita: «In questo posto si curano i bambini. E se un bambino ha bisogno di essere curato, nessuno gli chiede da dove viene, qual è la sua nazionalità, qual è la sua religione, da che parte sta». Cirio ha ricordato l’accoglienza dei piccoli ucraini seguita personalmente fin dall’inizio del conflitto, ringraziando anche la famiglia Lavazza per il sostegno alle operazioni umanitarie. Un impegno che, ha spiegato, continua anche su Gaza, non solo con l’invio di aiuti alimentari – in particolare il riso piemontese – ma con l’accoglienza diretta dei bambini più fragili attraverso i corridoi umanitari.

«Qui si dona la vita, si donano le cure, si dona il cuore», ha concluso Cirio. «Sono tutte cose che fanno parte della genetica del nostro Piemonte».

E forse è proprio questo il senso più profondo di quella targa: ricordare che, in mezzo a un mondo che divide, c’è ancora un luogo dove un bambino resta solo un bambino. E dove il diritto a essere curato viene prima di tutto il resto.

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